Società

Il Sud si sta ammalando di leghismo? Il rischio è rispondere con la stessa retorica

Salvatore Legnante, amico caro e attento osservatore delle dinamiche politiche a Sud, ha scritto giustamente che in questi tempi è in corso il processo patologico della “Sudalgia”: il dolore per un Mezzogiorno che sta diventando terra di rancore e fucina di esperimenti politici che fanno dell’esclusione la propria cifra. Vi è una sorta di impazzimento generale, in cui lo sconvolgimento delle tradizionali categorie politiche, in corso su scala globale, sta producendo fenomeni politici apparentemente non prevedibili, a Sud, fino a qualche tempo fa. Uno su tutti, l’esplosione del fenomeno leghista anche a Sud.

Dicevo solo apparentemente imprevedibili, in quanto il crollo dell’offerta politica a destra ha consentito al fenomeno leghista, nella sua rinnovata veste pseudo-nazionalista, di occupare gli spazi di una proposta variegata (populista, identitaria, sovranista), pur perseverando, a casa propria, in un discorso sostanzialmente “veteroleghista”, che si va concretizzando nell’attuale accelerazione autonomista in Veneto e Lombardia.

In quella frettolosa accelerazione, nella sostanza, si mantiene in piedi l’armamentario antimeridionale, occultato tra i fumi di una retorica che accarezza il consenso sui temi della sicurezza, delle frontiere, della legittima difesa, della famiglia tradizionale, etc. In questa dinamica così complessa, il Sud deve fare passi molto cauti sul terreno minato del “leghismo di reazione”. Una colpa grave sarebbe quella di continuare a fomentare l’estremismo antiunitario che può scaturire da letture semplicistiche e aberranti della tradizione meridionalista. Sarebbe l’humus per retroalimentare il discorso autonomista/separatista al Sud.

Fu lo stesso Gaetano Salvemini, nella sua riflessione più matura, a negare che il Sud, con la sua classe dirigente, fosse capace di un percorso di autonomie potenziate. Da diversi anni, anche portando in giro il libro A me piace il sud (Armando Editore, Roma), scritto col saggista Andrea Leccese, mi sono mosso sospinto dall’umile pretesa di mettere in guardia i meridionali e gli italiani su alcuni punti:

1. il meridionalismo non è mai stato antiunitario;
2. il meridionalismo nasce con l’Unità d’Italia:
3. il neo-meridionalismo di Pasquale Saraceno e della Cassa del Mezzogiorno produssero, nel “boom economico”, l’unica vera fase di convergenza tra Sud e Nord del Paese;
4. oggi più che mai, le sorti del Sud sono strettamente connesse a quelle del Nord e dell’Europa.

Molte riflessioni che ho condiviso anche su questo spazio sono nate da un continuo e proficuo dialogo col giovane storico e amico Antonio Bonatesta. Oggi pensare di separare anche solo a livello economico le sorti tra le aree del Paese comporterebbe un salto indietro di molti decenni, e i contraccolpi sarebbero a carico delle generazioni future in tutto il Paese, irrimediabilmente. Chi si macchi, consapevolmente, di una simile responsabilità sarà chiamato a pagare il prezzo dalla storia.

Da molto tempo ho preso apertamente le distanze da coloro che, partendo da una narrazione come quella di Terroni di Pino Aprile, pensano di poter partire da quel lavoro per liquidare, senza alcun approfondimento, un secolo e mezzo di storia, in cui le sorti di questo Paese si sono intrecciate indissolubilmente e innegabilmente. Il meridionalismo non ha senso al di fuori della cornice dell’Italia. Gli attuali interessi politici ed economici sovranazionali vedono confrontarsi la spinta centrifuga della disgregazione sovranista e quella centripeta dell’integrazione europea.

Quest’ultima deve oggi avere il coraggio di un’accelerazione storica, in grado di superare tutti i limiti di quanto fatto finora, per evitare la prevalenza delle forze del disordine. L’italiano (e ancor più il meridionale) deve intendere bene che le forze in gioco, con maschere nuove, sono sempre quelle della reazione contrapposta al progetto egualitario dell’inclusione nella sfera dei diritti sociali.

In Italia abbiamo pochi punti fermi in questa fase convulsa. Tra questi, la nostra Costituzione. Chi non voglia cadere nel grande turbine dell’alta entropia in accelerazione non finga di non aver capito che il processo in corso richiede davvero poche riflessioni per essere decriptato.