Secondo un sondaggio commissionato da Usa Today a Fandango, l’Oscar 2019 per il Miglior film andrà a Black Panther. Il 24% dei 3mila votanti ha scelto di puntare le proprie fiches sul cinecomic diretto da Ryan Coogler. Seguono A star is born (19%), Bohemian Rhapsody (18%), Green Book (14%), BlacKkKlansman (8%), La Favorita (6%) e Vice (4%). Roma, che critici e addetti ai lavori segnalano come indiziato numero uno per la vittoria, raggiunge appena il 7% delle preferenze. E subito si scatena il panico. Tra chi grida alla blasfemia e chi applaude alla rivoluzione, cerchiamo allora di analizzare i motivi per cui la statuetta più ambita potrebbe (o non potrebbe) finire sulla scrivania di Kevin Feige, produttore del kolossal Marvel. Andando oltre i concetti di “bello” o “brutto” e tentando invece di capire i delicati equilibri della notte delle stelle.
Perché sì – Roma si presenta alla cerimonia di Los Angeles con i gradi di favorito appuntati sul bavero e con dieci nomination in tasca. Gli occhi del mondo sono inchiodati sul suo regista, Alfonso Cuarón, che ha raggiunto Orson Welles (Quarto potere) e Warren Beatty (Il paradiso può attendere e Reds) alla quota record di quattro candidature personali per un unico film. Eppure la strada verso l’Academy Award for Best Picture appare piuttosto insidiosa. Innanzitutto, a rendere complicata la corsa all’oro del cineasta messicano è il fatto che mai sinora un titolo non in lingua inglese ha conquistato il riconoscimento più atteso. In secondo luogo, non bisogna dimenticare che Roma è sì un gioiellino, ma è anche un prodotto Netflix – con i pregiudizi e le condanne che ciò comporta in un’industria ancora saldamente legata alla sala -, è celebrato da un pubblico d’essai ed è girato in bianco e nero. Black Panther, invece, è tutto il contrario. Ed è per questo che, a detta di molti, è il più temibile fra gli antagonisti.
Forte di un budget di 200 milioni stanziato dai Marvel Studios – si legga Walt Disney Company – il film di Coogler è coloratissimo, super pop e ha fatto la fortuna degli esercenti. Con 700 milioni di dollari registrati nei soli Usa (1.3 miliardi in tutto il pianeta), infatti, la pellicola porta con sé la palma di maggior incasso americano del 2018. Ma non solo. Sin dal suo esordio ha saputo presentarsi come un vero e proprio caso cinematografico, meritando persino una masterclass all’ultimo Festival di Cannes.
Adorato dai critici statunitensi (ancora oggi vanta il 97% di recensioni positive su Rotten Tomatoes, meglio di Roma), Black Panther ha scosso l’orgoglio dell’intera comunità nera, mettendo al centro della propria narrazione valori e radici della black culture. Merito soprattutto di un cast e di una troupe composti quasi interamente da donne e uomini afroamericani. Dettaglio non da poco nell’ottica di una cerimonia su cui ancora pesano le polemiche di qualche anno fa riguardo la scarsa presenza di candidati di colore (#OscarsSoWhite, ricordate?). Così come tutt’altro che irrilevante è la novità di centrare un intero capitolo del Marvel Cinematic Universe sul personaggio di T’Chala (Chadwick Boseman), il primo supereroe nero del cinema (Wesley Snipes e Blade sono un’altra storia). La Disney insomma crede nel suo lungometraggio, senza dubbio, tanto da averlo proposto per ciascuna delle categorie disponibili (16, ottenendo 7 nomination). Un battage pubblicitario incessante, tra proiezioni gratuite e tavole rotonde. Se a questi ingredienti si aggiungono poi un taglio fortemente contemporaneo e politicizzato e una trama che presenta un Paese africano ultra-progredito che non si arrende né al colonialismo né alla schiavitù, ecco allora servita la ricetta perfetta per puntare all’Oscar per il Miglior film.