Perché no – Paradossalmente il principale ostacolo al trionfo di Black Panther potrebbe essere la sua stessa madrina: la Disney. Numerose testate d’Oltreoceano hanno già sottolineato come la rete su cui verrà trasmessa la serata degli Oscar, la Abc, sia di proprietà della compagnia californiana. Altri si sono spinti sino a insinuare che dietro la nomination del cinecomic si nascondano in realtà interessi tutt’altro che artistici. Ormai da diversi anni la notte delle stelle registra, infatti, un preoccupante calo di ascolti. Inserire un “concorrente imprevisto” nella competizione principe potrebbe pertanto essere un’idea per rianimare l’audience e vederlo magari schizzare in caso di trionfo dell’underdog marveliano. Risulta, tuttavia, difficile credere che l’Academy possa decidere di esporsi a nuove critiche dopo quelle piovute nelle ultime settimane. E neppure il supporto di star afroamericane del calibro di Oprah Winfrey e LeBron James potrebbe bastare a far cambiare idea ai membri più anziani e conservatori.
Sul serio qualcuno può credere che quella stessa Academy che ormai dieci anni fa bocciò Il cavaliere oscuro possa ora eleggere a Miglior film un cinefumetto? Per altro inferiore sotto ogni aspetto a quello presentato da Christopher Nolan. Pur rinfrescata per volti e umori da alcune new entry in seguito ai casi #OscarsSoWhite e #MeToo, l’età media della cupola degli Oscar resta attorno ai 70 anni. E l’istinto è fortemente conservatore. Basti pensare al trattamento riservato a Scappa – Get Out nella scorsa edizione degli Award. Per stessa ammissione di alcuni votanti, infatti, il lungometraggio – un interessante horror che ha per protagonista Daniel Kaluuya, che ritroviamo proprio in Black Panther – non fu nemmeno visionato dai “membri anziani”, secondo i quali non era proprio adatto per quell’Oscar. Ciò a fronte di quattro nomination ben più pesanti di quelle tecniche raccolte dalla Pantera. In fin dei conti, premiare un superhero movie sembrerebbe un passo azzardato da parte di un’Academy che neppure dieci mesi fa meditava persino l’introduzione di una categoria nominata Miglior film popolare – proposta cassata dalla rivolta del Web e degli addetti ai lavori – appunto per distinguere blockbuster e opere d’autore. Specie considerata la (insensata, ma storica) ritrosia dei votanti nel conferire a un’ispirazione fumettistica la dignità riconosciuta invece a una base letteraria. Sarebbe, infatti, questo il primo trionfo di un cinecomic nella sezione Miglior film, categoria a cui (per altro) sino ad oggi nessun lungometraggio di quel genere era neppure riuscito ad avvicinarsi.
Insomma, la verità è che gli Oscar sono anche politica. L’impatto culturale di un film, la sua componente di “diversity“, i nomi che lo sostengono. Tutto conta, persino i pregiudizi, le malelingue o la capacità di sposarsi con una particolare sensibilità. Alla fine, però, l’arte avrà sempre un suo peso. E capita di rado di inciampare in un’opera come Roma, un film che va oltre la pellicola. Più grande della vita. E a cui, con tutto il rispetto e a costo di apparire snob, nessuno potrà pensare di accostare Black Panther. O almeno così vogliamo sperare.