“La matrice che genera tutti gli italiani è ormai la stessa … Nel comportamento quotidiano, mimico, somatico non c’è niente che distingua – ripeto, al di fuori di un comizio o di un’azione politica – un fascista da un antifascista“. Queste parole non sono state scritte oggi o ieri, bensì quasi 50 anni fa, il 10 giugno 1974, da Pier Paolo Pasolini: un intellettuale e un provocatore (così dovrebbero essere gli intellettuali) di cui sento molto la mancanza, alcuni decenni dopo il suo assassinio. Le scrisse in prima pagina sul Corriere della Sera, negli anni dello stragismo.
Aggiungeva, lo scrittore e regista: “I giovani dei campi fascisti, i giovani delle Sam, i giovani che sequestrano persone e mettono bombe sui treni, si chiamano e vengono chiamati ‘fascisti’: ma si tratta di una definizione puramente nominalistica. Infatti essi sono in tutto e per tutto identici all’enorme maggioranza dei loro coetanei. Culturalmente, psicologicamente, somaticamente – ripeto – non c’è niente che li distingua. Li distingue solo una ‘decisione’ astratta e aprioristica che, per essere conosciuta, deve essere detta. La cultura a cui essi appartengono e che contiene gli elementi per la loro follia pragmatica è, lo ripeto ancora una volta, la stessa dell’enorme maggioranza dei loro coetanei. Non procura solo a loro condizioni intollerabili di conformismo e di nevrosi, e quindi di estremismo (che è appunto la conflagrazione dovuta alla miscela di conformismo e nevrosi). Se il loro fascismo dovesse prevalere, sarebbe un fascismo ancora peggiore di quello tradizionale, ma non sarebbe più precisamente fascismo. Sarebbe qualcosa che già in realtà viviamo, e che i fascisti vivono in modo esasperato e mostruoso: ma non senza ragione”.
Pasolini vedeva un fascismo “artificiale” che si era saldamente instaurato. Secondo lui eravamo già omologati da quella che chiamava “cultura di massa”. All’epoca Pasolini accusava i mass media, la politica basata su slogan più attenti alle rime che ai contenuti, la pedagogia da catena di montaggio. Adesso porterebbe alla sbarra strumenti ben più potenti, vista la forza omologatrice del web, dei social network e di miriadi di canali televisivi votati al rimbambimento seriale (nei suoi ultimi anni di vita c’erano soltanto due canali Rai e le primissime radio private).
Ora scopriamo che esiste ancora la “minaccia fascista”. Scritte razziste sui muri (come è appena successo a Melegnano, nel Milanese) e online (come possiamo leggere ogni giorno), esibizioni di piazza, sprangate e coltellate in effetti eccitano gruppi, talvolta contrapposti, di estremisti, di “odiatori” e di ultrà, che giustificano la reciproca ingiustificabile violenza, fisica e/o verbale. Però oggi il problema maggiore non è rappresentato da branchi di violenti, per quanto minacciosi: i fascisti di una volta non ci sono più, la storia e gli eventi hanno provveduto a cancellarli; pure i comunisti staliniani di una volta sono stati sbianchettati. Il problema semmai sta nel fatto che si sono quasi estinti anche gli antifascisti emersi da quegli stessi eventi, quelli che scrissero la Costituzione e quelli che negli anni successivi presero il testimone con cognizione di causa. Si è quasi estinta la cultura civile (ancor prima della politica) che aveva reso fieri e forti tantissimi italiani, capaci di imprimere alla società la più grande spinta in avanti nella nostra storia nazionale, contro ogni totalitarismo.
Così al giorno d’oggi il pericolo non è rappresentato dall’ipotetico ritorno tra noi dei vecchi totalitarismi neri o rossi. Il vero pericolo è rappresentato dalla diffusione capillare di un’ignoranza di massa, spacciata presuntuosamente per “cultura” e fatta propria anche dalla maggior parte del ceto politico che, non a caso, di questi tempi ci rappresenta. E questa iper-ignoranza rischia davvero di partorire un nuovo inedito totalitarismo.
Qualcuno ha già inventato il termine “democratura”, intesa come ibrido tra democrazia e dittatura (di cui all’estero i campioni sono oggi Vladimir Putin e Donald Trump, che in Italia hanno fan come Luigi Di Maio e Matteo Salvini). Io – per non essere da meno – lancio l’espressione “ignorantismo”, un’ideologia priva di idee usata come arma di rincoglionimento di massa. I segnali non mancano. I presupposti neppure. E questo declino – se non verrà fermato da una pacifica rivoluzione mentale ancor prima che politica – non può che generare sempre più burattini e lupi mannari, greggi e burattinai. Forse il peggio deve ancora venire.