Il rapporto 2018 di ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal. Rispetto al 2008 mancano all'appello 1,8 miliardi di ore lavorate. Il 33% dei laureati e il 36% dei diplomati ha un'occupazione che non richiederebbe quel titolo di studio. E questo alimenta la fuga dei cervelli, triplicata in un decennio. Sul fronte opposto la segmentazione etnica del mercato "ha favorito la presenza di lavoratori immigrati più disposti ad accettare lavori disagiati e a bassa specializzazione"
Un mercato del lavoro che ha recuperato i livelli pre-crisi per numero di occupati ma non per ore lavorate: all’appello ne mancano quasi 1,8 miliardi, pari a oltre 1 milione di posti full time. Sintomo di un aumento dei posti part time e, in generale, delle persone “sottoccupate“, che lavorano (e dunque guadagnano) meno di quanto vorrebbero. E’ quello che emerge dal rapporto ‘Il mercato del lavoro 2018’, frutto della collaborazione tra ministero, Istat, Inps, Inail e Anpal, che fotografa la situazione a dieci anni dall’inizio della crisi. Accanto ai sottoccupati sono cresciuti anche i lavoratori sovraistruiti, cioè quelli che svolgono attività per cui sono troppo qualificati e le cui competenze non vengono quindi sfruttate adeguatamente: sono 5,7 milioni, quasi un occupato su quattro. Il 33% dei laureati e il 36% dei diplomati, con medie più alte nel Mezzogiorno, ricade in questa categoria. Dati che spiegano anche il crescente fenomeno della fuga dei cervelli all’estero: nel 2017 hanno lasciato l’Italia 115mila persone, quasi tre volte tanto rispetto alle 40mila del 2008.
Ripresa a bassa intensità lavorativa – Nella media del 2018 il numero di occupati ha superato il livello pre crisi del 2008 (23 milioni) di circa 125mila unità. E il tasso di occupazione ha sfiorato il record del 58,5%. Ma nei primi tre trimestri, rispetto a dieci anni prima, le ore lavorate sono state 1,8 miliardi in meno, ovvero oltre un milione di posti full time. E circa 1 milione di occupati hanno lavorato meno ore di quelle desiderate. In media un sottoccupato sarebbe stato disponibile a lavorare circa 19 ore in più a settimana. La ripresa, quindi, è a “bassa intensità lavorativa“: mentre il numero di persone occupate recupera il livello del 2008, la quantità di lavoro utilizzato è ancora inferiore. I part time involontari sono cresciuti di 1,4 milioni, mentre i lavoratori a tempo pieno sono diminuiti di 866mila unità. Nell’ultimo trimestre dell’anno è tornata a crescere l’occupazione permanente (+0,1%), dopo la caduta registrata nel terzo trimestre, ma è il tempo determinato (+0,1%) a toccare “il valore massimo di oltre 3,1 milioni di occupati“. In dieci anni, tra il 2008 e il 2018, i dipendenti con contratto a tempo sono aumentati di 735mila unità. Un aumento concentrato soprattutto nella fascia dei dipendenti con rapporti a termine di durata fino a un massimo di sei mesi (+613mila).
Un mercato di sottoccupati e sovraistruiti – Il report si concentra poi sull’analisi dei cambiamenti nella struttura del mercato dopo la crisi, basandosi però in questo caso sui dati 2017. In quell’anno circa un milione di occupati ha lavorato meno ore di quelle per cui sarebbe stato disponibile: l’incidenza maggiore è tra quanti hanno impieghi manuali con basse mansioni come il collaboratore domestico, l’addetto alle pulizie, il manovale, l’addetto alla preparazione di cibi. Ci sono poi 5,7 milioni di persone che risultano sovraistruite per il posto che hanno. Negli anni il fenomeno risulta “in continua crescita, sia in virtù di una domanda di lavoro non adeguata al generale innalzamento del livello di istruzione sia per la mancata corrispondenza tra le competenze specialistiche richieste e quelle possedute”. Si va dai laureati che fanno gli impiegati o i tecnici ai diplomati che si adattano a fare il barista, il cameriere, il muratore o il camionista. Al Nord la quota di sovraistruzione è più bassa rispetto al Centro e al Sud, dove arriva al 38%. Tra le donne laureate l’incidenza della sovraistruzione è maggiore in confronto agli uomini (35,8%
contro 29,7%) per le diplomate risulta minore (33,2% e 38%).
Il fenomeno in parte si spiega con l’allungamento medio dei percorsi di istruzione e il “contesto di ricomposizione delle professioni che favorisce quelle poco qualificate a scapito di quelle a elevata qualifica”. Ma riflette anche “la difficoltà di ingresso nel mercato del lavoro da parte dei giovani, inizialmente occupati in professioni dove il livello di competenze richiesto è inferiore rispetto al titolo di studio conseguito”. Infatti l’incidenza della sovraistruzione “si attenua progressivamente al crescere dell’età passando dal 47% dei 25-34enni al 21,4% dei 55-64enni“.
L’età media al primo ingresso sul mercato del lavoro è di circa 22 anni e il 50% inizia con un contratto a tempo determinato, seguito da apprendistato (14%) e lavoro intermittente (12%). Solo il 9% degli ingressi è con contratto a tempo indeterminato o in somministrazione e il 4% nella forma di collaborazione. Per i giovani alle dipendenze “le professioni più frequenti sono camerieri e assimilati (12%), commessi delle vendite al minuto (8,5%), braccianti agricoli (7,4%), lavori esecutivi di ufficio (2,8%)”.
In crescita i posti poco qualificati – Sul fronte opposto è aumentata anche l’occupazione meno qualificata che, insieme alla “marcata segmentazione etnica del mercato del lavoro italiano, ha favorito la presenza di lavoratori immigrati più disposti ad accettare lavori disagiati e a bassa specializzazione“. Tra il 2008 e il 2018 “gli stranieri sono passati dal 7,1% al 10,6% degli occupati, aumentando la concentrazione nei settori dove erano già maggiormente presenti: alberghi e ristorazione, agricoltura e servizi alle famiglie“. In quest’ultimo settore su 100 occupati 70 sono stranieri.
Articolo corretto dalla redazione web: le ore lavorate che mancano all’appello sono in miliardi e non in milioni come precedentemente scritto. Il dato era sbagliato nel rapporto Istat come spiega Stefano Feltri nel suo blog.