Cinema

Oscar 2019, la stizza di Spike Lee per il premio a Green Book: “Chiamata sbagliata, sembrava uno scherzo”

Il giornalista Andrew Dalton dell’Associated Press ha raccontato di aver visto Lee nel tentativo di abbandonare la sala mentre Farrelly&Co. salivano sul palco per ritirare l’Oscar. Il regista newyorchese avrebbe agitato le braccia diverse volte in segno di fastidio e sarebbe stato invitato a tornare seduto al suo posto

di Davide Turrini

Anche il “fronte antirazzista” che ha vinto simbolicamente gli Oscar 2019 si spezza a metà. Variety riporta che negli attimi immediatamente successivi all’assegnazione del premio al miglior film per Green Book, il regista Spike Lee è rimasto visibilmente contrariato. In lizza nella stessa categoria con BlacKkKlansman, vincitore comunque dell’Oscar per la Miglior Sceneggiatura non originale, ed autore di uno degli speech più impegnati ed emozionanti della Notte degli Oscar, Lee pare fremesse per abbandonare la premiazione durante il discorso dei vincitori per il Miglior Film.

Il giornalista Andrew Dalton dell’Associated Press ha raccontato di aver visto Lee nel tentativo di abbandonare la sala mentre Farrelly&Co. salivano sul palco per ritirare l’Oscar. Il regista newyorchese avrebbe agitato le braccia diverse volte in segno di fastidio e sarebbe stato invitato a tornare seduto al suo posto. “Sono particolarmente sfigato. Ogni volta che qualcuno guida un’automobile, io perdo”, ha spiegato nel backstage Lee giocando di sponda tra il plot di Green Book e quello di A spasso con Daisy che nel 1990 vinse l’Oscar non permettendo al suo lanciatissimo Fa la cosa giusta di non raggiungere nemmeno le nomination. “Credevo di essere al Madison Square Garden con gli arbitri a fare una “chiamata” sbagliata. Sembrava uno scherzo”.

Anche Jordan Peele, sceneggiatore e regista premio Oscar per Get Out, seduto dietro a Lee, secondo quanto riferito da Dalton, non ha nemmeno applaudito alla vittoria di Green Book. Come del resto diversi membri afroamericani dell’entourage del film di Lee seduti a loro volta vicini a due registi. Una reazione scomposta che potrebbe essere la risposta alle tante polemiche che hanno circondato il film di Peter Farrelly vincitore dell’Oscar. Green Book è stato criticato negli Stati Uniti per aver ostentamente proposto una narrazione tradizionalista, non proprio da autodeterminazione black come nei film di Lee, in cui si esalta il “salvatore bianco” in aiuto dell’afroamericano che da solo non può modificare il suo destino.

Altre polemiche sono nate attorno a tweet antimusulmani scritti online da Nick Vallelonga, figlio del vero Tony Lip Vallelonga, il guardiaspalle/autista che grazie alla sua prestanza fisica, e al sua inattesa tolleranza e amicizia verso il pianista Don Shirley, lo trasportò proteggendolo negli stati razzisti del Sud degli Usa nei primi anni sessanta. Tweet peraltro confermati dallo stesso Vallelonga che poi si è scusato sostenendo che Green Book è “una storia sull’amore, l’accettazione e il superamento delle barriere sociali”. E ancora: Viggo Mortensen che in una Q&A qualunque durante una presentazione del film a Los Angeles lo scorso novembre, rispondendo alla domanda di un intervistatore sottolineò che uno dei tanti progressi tra gli anni sessanta e oggi sul tema del razzismo è che almeno “la parola negro non viene più utilizzata con leggerezza”. Apriti cielo. L’attore di origine danese si è dovuto pubblicamente cospargere il capo di cenere, pur avendo utilizzato in modo sinceramente costruttivo e antirazzista una parola che negli Stati Uniti non viene pronunciata con facilità in pubblico e viene scritta con la N maiuscola e gli asterischi al posto delle lettere.

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