Con Green Book si salvano capre e cavoli, il pubblico approva e l’operetta tranquillizza le coscienze. E benissimo che il figlio di egiziani, il tenero Rami Malek (un po’ come a Sanremo...) passi dalla consegna dei kebab ai fasti del Best Actor: suo malgrado: "Non ero la prima scelta, ma pare abbia funzionato”
Black power, Mexican power, Women power e qualsivoglia Minoranze, Soprusi, Compensazioni Power. Il problema degli Oscar 2019 non è l’enorme statuetta auto attribuita dall’establishment WASP al proprio Senso di Colpa, bensì il fatto che dal forziere esasperato del “Politically Correct” sfugga un paradosso di fondo: l’abitudine a cavalcarlo che azzera ogni statement di sacrosanta natura politica, sociale, antropologica. Un rischio che arriva a sfiorare (ma per fortuna non li affonderà mai…) persino i discorsi-comizio del magnifico e sempre alive & kicking Spike Lee, finalmente vincitore del suo primo Oscar, capace di non sbiancarsi di coolness perché resta il principale (e l’ultimo) vero combattente di “quel” black cinema power. Alla faccia di tutte le pantere nere digitali.
La linea editoriale black poteva essere preservata anche da un Oscar come Best Picture a BlackKklansman? No. Perché vi si perdeva la convivenza multiculturale, la scivolosa questione dei migranti e dei loro figli, e l’America è la terra di Ellis Island. Dunque benissimo che il figlio di egiziani (un po’ come a Sanremo…), un “first generation American” passi dalla consegna dei kebab ai fasti del Best Actor: il tenero Rami Malek, suo malgrado (“non ero la prima scelta, ma pare abbia funzionato”) di meglio non poteva fare, governato com’era dalla corazzata dei canuti The Queen, la cui mini live di apertura di show con il divino Freddie Mercury benedicente ha fornito quel poco di adrenalina di una serata versione sonnifero.
Perché di emozioni questa Notte delle Stelle ne ha regalate veramente poche e quelle rare rispondono a tre duetti: Spike Lee che salta in braccio a un esultante Samuel L. Jackson, l’abbraccio infinito fra Alfonsito Cuaron & Guillermone Del Toro (un remake di Venezia 2018) e l’unplugged live di Shallow by Lady Gaga& Bradley Cooperd a pelle d’oca con stonature perdonate. Donne di rosso vestite, In Memoriam con tre italiani assoluti (ma un ricordo all’immenso Stanley Donen era troppo inserirlo last second?) e un arrivederci al 2020, anno di presidenziali, con l’augurio di Spike, the one and only, a fare la cosa giusta, anche qualora dovesse suonare un po’ scorretta aggiungiamo noi.