Hanno marciato in silenzio, a migliaia. Genitori “orfani” dei loro figli strappati alla vita troppo presto, ragazzi dell’associazionismo, cittadini comuni. Tanti, come a Taranto non si vedevano da tempo. Ormai soli, senza sponde politiche, nella loro lotta per ricordare che sotto le ciminiere dell’ex Ilva nulla è cambiato. Nessun politico ha parlato del ritorno in strada – muto eppure rumorosissimo – di chi nel capoluogo jonico continua a lottare perché l’acciaieria continua a inquinare e quindi a provocare danni alla salute. Lo hanno certificato anche gli ultimi dati Arpa Puglia, pubblicati da Peacelink: il siderurgico è tornato a marciare, i livelli di sostanze tossiche sono tornati a crescere.
Eppure le promesse sbandierate erano chiare: la situazione è risolta, tutto cambierà. Da quando Luigi Di Maio ha dato il via libera all’ingresso di ArcelorMittal, invece, e in maniera scontata per chi ‘vive’ le questioni dell’acciaieria, al momento è cambiato nulla. Poteva essere altrimenti? No. Ma questo il leader del M5s e vicepremier non lo aveva spiegato affatto. Né è mai andato a Taranto a ‘ragionare’ con gli abitanti sul cambio di rotta che ha raccontato essere stato imposto per quel contratto firmato da Carlo Calenda (ma che ci fosse un contratto era cosa ufficiale e nota dal giugno 2017).
Ma i tarantini non mollano, anche se il Movimento Cinque Stelle – che quella battaglia se l’era intestata, ed era l’unico a poterla portare avanti – ora tace quando ci sono notizie sull’ex Ilva. Non una parola quando la Corte europea per i diritti dell’uomo ha certificato con una sentenza che lo Stato non ha protetto la salute dei cittadini. Non una parola quando il giudice per le indagini preliminari ha spedito gli atti alla Consulta evidenziato come il decreto sull’immunità penale – creato in passato, criticato dal M5s ma lasciato lì dall’attuale governo – viola a suo avviso 7 articoli della Costituzione. Non una parola sulla richiesta dei sindacati di avviare davvero le bonifiche, come previsto dall’accordo.
Le croci bianche e le foto dei bambini morti – l’ultimo ragazzo, 15 anni, se n’è andato un mese fa – restano però piantate nella coscienza non solo di chi ha sbagliato in passato, ma anche di chi colpevolmente oggi tace. Con i fatti – nella legge di Bilancio ci sono stati diversi ‘annunci’ su Taranto, però di concreto non si è visto ancora nulla – e anche a parole. Al silenzio della politica, la città risponde con la sostanza: nelle ultime settimane, Taranto Libera, con il “veleno nel sangue e il cuore in mano”, ha raccolto più di 3000 firme per un nuovo esposto, la fiaccolata è stata partecipata e trasversale. Anche se il vento del cambiamento ha spento l’ultima speranza politica e portato nei quartieri le stesse polveri di prima.