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Il Collegio, grande successo per il docu-reality di RaiDue che piace soprattutto ai giovanissimi: 41% di share sul target 8-14 anni

Un dato clamoroso, soprattutto se rapportato al fatto che i ragazzi di quell'età difficilmente si affacciano al mezzo televisivo. Perché le avventure di un gruppo di ragazzi di età compresa tra i 14 e i 17 anni, catapultati tra le mura di un severo collegio del 1968, piacciono così tanto? Proviamo a capirlo

di Giulio Pasqui

Laddove la televisione generalista solitamente fallisce, Il Collegio fa centro: il docu-reality realizzato con MagnoliaBanijay Group e in onda su Rai2 è un successo, ma soprattutto lo è tra i giovani. L’ultima puntata, andata in onda martedì scorso, ha segnato un impressionante 41% di share sul target 8-14 anni (senza contare tutti coloro che scelgono la strada dello streaming o dell’on-demand). Un dato clamoroso, soprattutto se rapportato al fatto che i ragazzi di quell’età difficilmente si affacciano al mezzo televisivo. Perché le avventure di un gruppo di ragazzi di età compresa tra i 14 e i 17 anni, catapultati tra le mura di un severo collegio del 1968, piacciono così tanto? Proviamo a capirlo.

Un esperimento televisivo e sociale così impostato fa scattare nei giovani un processo di immedesimazione. Si pensa spesso che gli alunni di elementari e medie, quando tornano a casa, non abbiano voglia di sentir parlare ancora di scuola. Invece le avventure dei loro coetanei li divertono. Ridono delle trasgressioni della classe televisiva, nei quali si rivedono, e anche degli strafalcioni delle interrogazioni. “Cos’è la Costituzione? La Costituzione!”, risponde uno. “Giacomo Leopardi? Ma che me ne frega di Giacomo Leopardi? Ma chi è? Mica lo incontro per strada? E’ morto e ciao!”, risponde un’altra. I ragazzi, solitamente “schiavi” del loro telefonino, nel Collegio sono costretti a consegnarlo perché proibito come ogni supporto elettronico, come i trucchi, le piastre e ogni genere di gioiello. “Come vivremmo senza questi oggetti?”, si chiedono i giovani davanti alla tv, sognando di mettersi alla prova con l’obbligo di rigare dritto e di adeguarsi alle regole di abbigliamento e comportamento dell’epoca. Ogni anno, infatti, arrivano alla produzione migliaia di richieste per partecipare al programma: i teenager odiano la disciplina, ma poi la sognano.

Al fianco dei giovani telespettatori, sul divano, ci piace immaginare i loro genitori: questo potrebbe essere il secondo vero motivo del successo de Il Collegio. Quelli bravi lo chiamano “co-viewing”, ma si potrebbe chiamare anche scambio tra generazioni. Perché se i loro figli si immaginano in quelle condizioni di rigore, nella mente dei grandi – che quei periodi li hanno vissuti davvero e in prima persona – riaffiorano i ricordi e divampa la nostalgia. Si stava meglio quando si stava peggio, insomma. La visione genitori-figli porta anche al confronto: i piccoli comprendono cosa hanno vissuto i grandi, mentre gli adulti hanno l’occasione di capire un po’ meglio il mondo ribelle dei loro figli. E poi vengono interrogati: “Mamma, cosa è l’olio di fegato di merluzzo? E il telefono a disco? E cosa sono stati i movimenti rivoluzionari? Come si usa una penna stilografica?”.

Il terzo motivo non può che essere la surrealtà. Perché certe volte Il Collegio è veramente assurdo e inverosimile. Ci sono le gemelline siciliane che chiedono assistenza a Gesù pregando l’Ave Maria per superare il test di ingresso, ci sono le litigate con i pianti isterici, o ancora momenti di disperazione particolarmente accentuata. Potrebbero sembrare le scene di una telenovelas brasiliana, pure recitate male, invece l’autore Luca Busso assicura: “Anche a me ogni tanto il programma appare come finto o forzato, ma posso assicurarvi che non è così: non c’è niente di fiction. E non ci sono soltanto le urla e le stupidate, ma anche dei contenuti di studio, di racconto delle proprie esperienze come il bullismo, di momenti discussione sulla società che ci circonda”.

Piace anche la rigidità de Il Collegio, che certe volte fa ridere, altre insegna il rigore. “Qui si obbedisce, è chiaro?”, urla l’inflessibile preside agli alunni prima del test d’ingresso. Proprio lui, insieme a dei severi sorveglianti e a un corpo docenti rigoroso, stabilisce e fa rispettare le regole. Non si può sporcare o indossare male la divisa, non si possono nascondere gli oggetti vietati, né raggiungere il dormitorio del sesso opposto durante la notte o sgarrare con lo studio. Chi si ribella? Viene costretto a scrivere per 200 volte la frase “l’educazione è il pane dell’anima” al posto di fare la colazione o viene sanzionato con una punizione umiliante, che può essere anche l’espulsione dal collegio.

E poi? Il Collegio racconta un’epoca storica. La prima edizione era ambientata nel 1960, la seconda nel 1961, l’attuale nel 1968. L’ambientazione non è solo un pretesto per osservare i comportamenti dei giovani, ma è anche un modo per ricordare un periodo particolare. Così diventa l’occasione per raccontare (o, meglio, accennare) le rivoluzioni giovanili, i modi di vestire, i rapporti interpersonali (senza cellulari!), i metodi di studio, l’educazione che un tempo esisteva ancora, le usanze culinarie (come le rane fritte o la testina di vitello). La prossima edizione, promette il direttore Freccero, sarà ambientata nel periodo fascista. Ne vedremo delle belle.

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