È un bel paradosso svilire l’insegnamento della storia – ridotta a un’ora settimanale negli istituti professionali, cancellata dalla prima prova scritta dell’esame di maturità – proprio mentre reperti di storia fascista riecheggiano ovunque. Nelle note di “Faccetta nera” scagliate a tutto volume su una pista di pattinaggio; nelle svastiche tatuate e negli slogan razzisti degli ultras delle curve degli stadi; nelle parole di un ministro che riporta in auge il frasario mussoliniano del “tiriamo dritto” e del “molti nemici molto onore”; nelle dichiarazioni irredentiste; nel revisionismo storico imperante; nel ripescaggio dell’abietta invenzione dei Protocolli dei Savi di Sion e della congiura plutogiudaica che tenta di fare di George Soros – ebreo ungherese fuggito alla persecuzione nazista – l’iconografia del “perfido ebreo”, manovratore di complotti e colpi di Stato.

In questo kitsch, già magistralmente previsto dallo scrittore ungherese e premio Nobel Imre Kertész, anch’egli scampato ai lager, tutto diventa melma. Ci vorrebbero ore e ore di storia, incontri con i testimoni, studio delle fonti, inquadramento dei fatti – anche i più elementari: la collocazione della Polonia su una carta geografica, le cause scatenanti della Seconda guerra mondiale, le origini del Ventennio fascista e della presa del potere di Hitler – perché gli studenti, talvolta anche quelli che vanno in viaggio ad Auschwitz, possano comprendere che lo sterminio degli ebrei d’Europa non è avvenuto d’un tratto, e che il “viaggio della memoria” non è un film, finito il quale si torna alla realtà.

Preoccupata e “sbigottita” dalla decisione del Miur, la senatrice Liliana Segre – grande e instancabile testimone della Shoah – ha chiesto un incontro al ministro dell’Istruzione Bussetti: “Vorrei capire il perché della soppressione della storia, che ritengo un atto molto grave. Io mi sono sempre occupata di memoria. Ma memoria e storia vanno insieme“, ha detto.

Ed è forse proprio per questo che la storia va tacitata e che il suo insegnamento va reso innocuo: la memoria fondata sulla conoscenza è il miglior antidoto contro il ripetersi dei fatti, perché insegna a riconoscerne i sintomi.

“Sono una voce che grida nel deserto dei morti”, ha detto Liliana Segre. “Quando verranno meno gli ultimi sopravvissuti, la Shoah diventerà una riga nei libri di storia. E più tardi ancora, non ci sarà neppure quella”. Come in 1984 di George Orwell, dove vige il bispensiero e “la menzogna diventa verità e passa alla storia”. Una storia non più interrogata, resa dogma indiscutibile.

Perché la storia è sempre la pietra d’inciampo dei regimi – anche quelli democratici – che, volendo evitare le asperità e le domande, cambiano i libri di testo, abbattono le statue, irridono la cultura, decretano la damnatio memoriae di ciò che esula dalla costruzione della realtà ufficiale.

Per questo oggi sono tanto importanti sia l’incontro chiesto dalla senatrice Segre al ministro dell’Istruzione Bussetti, sia la sua richiesta di indagine alla VII Commissione del Senato, dove ciascun gruppo politico ha indicato esperti e studiosi da ascoltare, ma le audizioni non sono state ancora calendarizzate. Sta a noi vigilare perché questo avvenga – perché la storia torni nella traccia d’esame, e il suo insegnamento sia restituito alla dignità che le è dovuta in un paese civile e democratico.Non rubiamo la storia ai nostri ragazzi, ne hanno un immenso bisogno”, ha detto la senatrice Segre. Sta a tutti noi fare in modo che il suo monito non cada inascoltato. La storia tutta, la storia come narrazione delle vicissitudini degli uomini, perché, scriveva Eduardo Galeano, “la storia è un profeta con lo sguardo rivolto all’indietro: da ciò che fu e contro ciò che fu annuncia ciò che sarà”.

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