L’ex ministro della Giustizia, Angelino Alfano, “dichiarò il falso” di fronte al Parlamento sul caso Cucchi, sulla base di una “serie di annotazioni falsificate” da parte dei carabinieri. È quanto emerge dai nuovi documenti depositati dal pm Giovanni Musarò nel processo per la morte di Stefano Cucchi. Tra questi anche una scheda riepilogativa redatta da tre carabinieri della stazione Appia: è l’unico documento che l’allora capo di Gabinetto del ministero della Difesa inviò il 2 novembre del 2009 all’omologo del ministero della Giustizia in vista del question time che il ministro Alfano doveva svolgere il giorno dopo in Parlamento. Nel documento i rappresentanti dell’Arma scrivono “che sia la fase dell’intervento e del fermo” di Cucchi, “sia la successiva operazione di redazione degli atti e di perquisizione, si sono svolte senza concitazione, nè particolari contatti fisici, in quanto il fermato, in condizioni fisiche particolarmente debilitate a causa di importanti patologie pregresse, si è dimostrato da subito remissivo e orientato a giustificare la propria posizione giudiziaria piuttosto che contestarla”.
Durante l’udienza odierna, ha testimoniato il generale Vittorio Tomasone, comandante interregionale a Napoli, che ha definito l’arresto “normale” e all’epoca dei fatti convocò una riunione con tutti coloro trattarono la vicenda relativa all’arresto del giovane geometra romano, morto all’ospedale Pertini di Roma dove si trovava ricoverato dopo il fermo dei carabinieri avvenuto nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009.
Secondo l’accusa, che indaga anche sul successivo presunto depistaggio portato avanti dai militari dell’Arma, nelle carte ci sono le prove dei “falsi e delle omissioni” dell’allora Comando provinciale dei carabinieri di Roma che hanno tratto in inganno anche l’ex ministro della Giustizia. Il 3 novembre 2009, al Senato, Alfano (sopra la foto di quel giorno, ndr) durante la sua informativa accusò implicitamente gli uomini della polizia penitenziaria, ha detto il pm spiegando come il “depistaggio” sarebbe partito subito dopo un dispaccio d’agenzia del 26 ottobre 2009 in cui il parlamentare Luigi Manconi “denunciava che i genitori del ragazzo lo avevano visto dopo l’arresto senza segni in viso mentre il giorno dopo era tumefatto”.
Da quel momento, ha detto Musarò, “da parte dei carabinieri partono una serie di annotazioni falsificate” e Alfano “sulla base di atti falsi”, dichiarò “il falso in Aula, lanciando accuse alla polizia penitenziaria, quando ancora in procura non c’era nulla contro la penitenziaria”. Fino a quel giorno – ha ricordato il pm Musarò – il fascicolo dei pm Barba e Loy sulla morte di Cucchi “era a carico di ignoti e solo dopo le parole di Alfano partirà l’indagine sui poliziotti”. Nella relazione che fu inviata in via Arenula si afferma inoltre che “il carabiniere scelto Gianluca Colicchio, alle 3.55 della notte del 16 ottobre, quando Cucchi si trovava nella stazione dei carabinieri di Tor Sapienza, si intratteneva a dialogare con l’arrestato facendosi raccontare la vicenda e trovandolo lucido, cosciente e in condizioni di salute compatibili con lo stato di detenzione (no ferite, non contusioni o ecchimosi diverse da quelle tipiche della tossicodipendenza in fase avanzata)”.
Per quello che il pm ha definito “un gioco del destino”, il 3 novembre 2009, “quando Alfano ha finito di rispondere all’interrogazione, nel pomeriggio compare davanti ai magistrati il detenuto gambiano Samura Yaya che riferisce di aver sentito nelle camere di sicurezza del tribunale una caduta di Cucchi”. Quella dichiarazione – ha detto il pm – “è stata ritenuta inattendibile con sentenza definitiva”. Nel caso Cucchi, ha concluso Musarò, “si è giocata una partita truccata, con carte segnate”. Una partita “giocata sulle è spalle di una famiglia: qui c’è in gioco la credibilità di un intero sistema”.