Mimmo Lucano non può tornare nella sua Riace, ma la Cassazione ha demolito un altro capo di imputazione per il sindaco arrestato a ottobre nell’ambito dell’inchiesta “Xenia”. Limitatamente alle presunte irregolarità nell’affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti e alle esigenze cautelari, infatti, la Suprema Corte ha annullato con rinvio la decisione del Riesame di Reggio Calabria che, a novembre, aveva già revocato gli arresti domiciliari (stabiliti dal gip di Locri) e disposto, però, il divieto di dimora nel Comune di residenza. La Cassazione, quindi, ha accolto parzialmente la richiesta degli avvocati Antonio Mazzone e Andrea D’Aqua, difensori del sindaco di Riace che era stato destinatario di ordinanza di custodia cautelare non solo per la questione dell’appalto per il servizio di raccolta dei rifiuti (affidato a due cooperative locali che lo eseguivano con gli asinelli per le strade di Riace) ma anche per il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (per aver contribuito a presunti matrimoni fittizi).
Adesso, il divieto di dimora resiste solo per quest’ultimo reato mentre per il primo dovrà decidere un’altra volta il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria. Nonostante il sostituto procuratore generale della Cassazione Ciro Angelillis abbia chiesto alla Corte di rigettare l’istanza per la revoca del divieto di dimora avanzata dai legali di Lucano, resta il dato che anche la Suprema Corte ha, di fatto, posto ulteriori riserve rispetto all’impianto accusatorio e alla necessità che il sindaco Mimmo Lucano sia sottoposto a misura per tutti i reati che gli vengono contestati. Già lo aveva fatto il gip di Locri che, nell’emettere la misura cautelare aveva rigettato l’accusa più pesante, quella di associazione a delinquere ai danni dello Stato per la gestione dei fondi destinati all’accoglienza.
Il sindaco Lucano, quindi, resta “esiliato” anche se la Procura di Locri a fine dicembre ha chiuso l’inchiesta “Xenia” cristallizzando quello che già era emerso nella fase delle indagini. Il provvedimento, infatti, è stato notificato agli altri 31 indagati per i quali era stata rigettato l’arresto. Ai domiciliari finì solo Mimmo Lucano che secondo il gip non ha intascato un centesimo dei soldi arrivati a Riace per l’accoglienza. Tuttavia la Procura continua a contestargli di essere il promotore di un’associazione a delinquere che aveva lo scopo di commettere “un numero indeterminato di delitti (contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio), così orientando l’esercizio della funzione pubblica del ministero dell’Interno e della prefettura di Reggio Calabria, preposti alla gestione dell’accoglienza dei rifugiati nell’ambito dei progetti Sprar, Cas e Msna e per l’affidamento dei servizi da espletare nell’ambito del Comune di Riace”.
Secondo la guardia di finanza, che ha condotto le indagini, tutto ruotava attorno all’associazione “Città Futura” che, assieme alle altre associazioni che si occupavano dei migranti, avrebbe avuto un ingiusto vantaggio patrimoniale di 2 milioni e 300mila euro “mediante indebite rendicontazioni al Servizio centrale del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati e alla prefettura di Reggio Calabria delle presente relative ad immigrati non aventi più diritto a permanere nei progetti”. Da queste accuse Lucano si è sempre difeso a muso duro dicendo che “uno degli obiettivi è stato quello di indebolire e dimostrare che Riace era come tutti gli altri. Mi hanno arrestato per questo in una Regione controllata dalle mafie e diventata la pattumiera d’Europa che qui scarica i rifiuti tossici? Devo pagare io che ho cercato di costruire un’opportunità per il mio territorio”.