di Annalisa Rosiello *
Quando oggi si parla di nuove forme e modalità lavoro, spesso non può prescindersi dal parlare di nuove tecnologie, e in particolare di tecnologie digitali: piattaforme che sostituiscono il datore di lavoro, algoritmi che esercitano il potere direttivo, strumentazione sempre più sofisticata. Tutti questi sono fattori di innovazione che lasciano a volte spiazzati gli interpreti (si pensi al caso dei fattorini di Foodora deciso recentemente a Torino), dato che la normativa spesso non è al passo con evoluzioni cosi rapide.
Nel caso dello smartworking (o lavoro agile), però, le cose vanno diversamente, dal momento che la legge esiste e da tempo è stata avviata in molte aziende e pubbliche amministrazioni la sperimentazione di questa nuova modalità di lavoro. La disciplina dello smartworking è prevista dalla legge n° 81/2017, che al capo II prevede sei articoli:
1. la definizione dell’istituto;
2. la disciplina della forma e del recesso;
3. l’esercizio del potere direttivo, di controllo e disciplinare;
4. gli aspetti legati alla retribuzione;
5. la formazione;
6. le specifiche norme sulla sicurezza.
Lo smartworking può comportare significativi vantaggi per le aziende, per i lavoratori e per la collettività. I vantaggi per le aziende consistono principalmente nell’aumento della competitività (in termini di maggiore produttività, di riduzione delle assenze e di risparmio sui costi). I vantaggi per la collettività consistono, tra gli altri, in minori immissioni di Co2 e in una possibile rivalutazione delle periferie. Infine, i vantaggi per i lavoratori riguardano essenzialmente, oltreché la migliore conciliazione tempi di vita-tempi di lavoro, anche un minore stress da spostamenti e un modo per promuovere la salute e prevenire i rischi, per la salute e per le discriminazioni verso categorie più “fragili”.
Ricordiamo che l’art. 28, d. lgs. n. 81/2008, prevede che la valutazione dei rischi “deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione”.
La legge di bilancio per il 2019 (L. 145/2018, comma 486), istituisce un espresso diritto di precedenza nell’accesso allo smartworking, ma solo per le madri entro tre anni dalla conclusione della maternità obbligatoria e per i lavoratori che assistono figli con disabilità ai sensi della legge 104. Nella pubblica amministrazione, criteri di priorità riguardano “coloro che si trovano in situazioni di svantaggio personale, sociale e familiare e dei/delle dipendenti impegnati/e in attività di volontariato (vedansi le linee guida lavoro agile, Presidenza del Consiglio dei ministri 2017).
La sfida, per chi opera a tutela dei lavoratori, è quella di allargare la platea dei lavoratori aventi diritto di precedenza anche alle altre categorie previste dall’art. 28 più su richiamato. Le misure di promozione, prevenzione e tutela della salute che il datore di lavoro deve osservare nel caso di lavoratori esposti a rischi particolari e/o appartenenti alle categorie elencate nella norma sono infatti maggiori e, comunque, differenziate rispetto a quelle che deve rivolgere alle altre categorie di lavoratori e lavoratrici. Lo smartworking può, per l’appunto, essere uno strumento molto valido a favore di lavoratori che, per ragioni anagrafiche, sociali e/o ambientali, sono soggetti a particolari rischi: le donne (non solo quelle con figli piccoli ma anche con figli già grandi o con genitori anziani da accudire e non solo in 104), le persone con disabilità e le persone in età avanzata che, per ragioni psico-fisiche, potrebbero avere maggiori difficoltà di spostamento.
Nel caso delle persone con disabilità, lo smartworking potrebbe peraltro costituire un ragionevole accomodamento, e quindi un vero e proprio obbligo se non si vuole incorrere in una discriminazione. Le stesse categorie di soggetti elencate all’art. 28 più sopra richiamato, peraltro, sono quelle maggiormente esposte a rischio discriminazioni e marginalizzazione. Si pensi ai licenziamenti tecnologici, che riguardano principalmente i caregiver, le persone in età avanzata e le donne.
Le suddette categorie, peraltro, risultano tra quelle marginalizzate anche nella formazione tecnologica e rischiano quindi di essere penalizzate nell’accesso a strumenti e modalità di lavoro innovative come lo smartworking. Il compito chi si occupa della tutela dei lavoratori è chiaramente quello di far sì che a questi soggetti venga destinata una formazione ancora più adeguata e accurata, al fine di metterli nelle condizioni di partenza di tutti gli altri lavoratori. E, naturalmente, quello di vigilare sui rischi (tecno-stress e straining, principalmente).
In conclusione, le tecnologie e il lavoro possono essere in alcuni casi una grande opportunità per i lavoratori, specialmente quelli maggiormente a rischio (salute e discriminazioni). Per questo è molto importante che tutti abbiano la possibilità di accedervi in condizione di uguaglianza (formazione), che abbiano la precedenza lavoratori maggiormente “fragili” (anziani, disabili, donne con figli, anche in età scolare, caregivers tutti) e che siano rispettate le regole di base per evitare l’isolamento del lavoratore e il tecno-stress.
* Avvocata giuslavorista, sono una delle curatrici di questo blog, qui il mio cv.