Donald Trump sapeva e diresse i negoziati sulla Trump Tower a Mosca attraverso la sua campagna e su questo “ha mentito agli americani”. Davanti alla Commissione di controllo della Camera Michael Cohen, ex legale del presidente degli Stati Uniti condannato a tre anni di carcere per frode fiscale, falsa testimonianza e violazione del codice elettorale, punta il dito contro il suo ex assistito.
Tutto come da copione. Ascoltato martedì a porte chiuse al Senato nella prima di tre udienze che potrebbero produrre nuove esplosive rivelazioni sul magnate del cemento divenuto presidente degli Stati Uniti, Cohen ha trascorso circa otto ore dietro le porte della commissione Intelligence del Senato, dove si ritiene sia stato interrogato sulle relazioni di Trump con la Russia, con le sue pratiche imprenditoriali e con pagamenti illegali che il tycoon avrebbe ordinato in vista delle elezioni del 2016 per due donne che dicevano di avere avuto relazioni con l’attuale presidente. Quindi oggi l’avvocato è comparso dinanzi alla commissione di Controllo della Camera, unica apparizione pubblica al Campidoglio questa settimana.
Dinanzi ai suoi componenti Cohen ha raccontato che Trump lo spinse a mentire sul progetto di una Trump Tower a Mosca, progetto che andò avanti anche durante la campagna elettorale che nel 2016 portò il tycoon alla Casa Bianca. Non si trattò, tuttavia, di un ordine esplicito: “Io stavo negoziando per lui in Russia, ma lui mi guardò negli occhi e mi disse che non c’era alcun business in Russia. Poi andò fuori e mentì agli americani affermando la stessa cosa. In questo modo stava dicendo anche a me di mentire”. “Non so se abbia colluso, ma ho i miei sospetti”, ha detto ancora Cohen ricordando gli incontri con agenti russi. Nei quali è possibile sia coinvolta gran parte della famiglia del presidente, ha detto Cohen rispondendo a chi gli chiedeva del ruolo dei figli maggiori – Donald Junior, Eric e Ivanka – e del genero Jared Kushner. “La società era coinvolta nell’affare, dunque vuole dire che l’intera famiglia era coinvolta”, ha spiegato il legale.
Ancora: Trump sapeva in anticipo che Wikileaks avrebbe pubblicato delle e-mail hackerate ai democratici che avrebbero imbarazzato la sua rivale Hillary Clinton nella corsa per la Casa Bianca del 2016. “Sì, Trump ha appreso in anticipo da Roger Stone (suo ex consigliere e amico, ndr) che Wikileaks avrebbe pubblicato le e-mail”, sostiene Cohen. E prosegue: “A luglio del 2016, qualche giorno prima della convention democratica, ero nell’ufficio di Trump quando il suo segretario ha annunciato che c’era Roger Stone al telefono. Trump ha messo Stone in viva voce. Stone ha detto a Trump che aveva appena chiuso il telefono con Julian Assange e che Assange aveva detto a Stone che, entro qualche giorno, un’enorme quantità di e-mail sarebbe stata pubblicata e avrebbe danneggiato la campagna di Hillary Clinton”. “Trump ha risposto dicendo qualcosa come ‘sarebbe fantastico‘”, ha concluso Cohen.
Non solo: Cohen ha confermato che Trump gli chiese di pagare l’ex pornostar Stormy Daniels per comprare il suo silenzio e al Congresso ha mostrato la copia di un bonifico di 130mila dollari versati alla donna e la copia di un assegno da 35mila dollari firmato da Trump a titolo di rimborso e datato 1 agosto 2017, quando era già presidente. In tutti gli assegni durante l’anno furono 11, ha spiegato. “Mi chiese anche di mentire a sua moglie. Mentire alla first lady è uno dei miei più grandi rammarichi. Non lo merita”.
Secondo Cohen, il presidente sarebbe oggetto di indagini fino ad ora non rese pubbliche da parte della magistratura di New York. L’ex legale ha spiegato come gli inquirenti starebbero esaminando le sue conversazioni con il presidente dopo che nell’aprile 2018 furono perquisite le proprietà di Cohen. E starebbero indagando anche su altri sospetti illeciti o violazioni non specificati. “Mi è stato però chiesto dai procuratori di non parlarne”.
L’audizione è stata preceduta da una dichiarazione del presidente democratico della commissione di controllo dell’attività del governo dei rappresentanti, Elijah Cummings, che ha difeso la sua decisione di convocare Cohen, condannato a tre anni anche per aver mentito al Congresso. Riconoscendo in anticipo le critiche dei repubblicani, “se ha mentito allora, perché dobbiamo credergli ora?”, il democratico afroamericano ha spiegato: “Il popolo americano può giudicare da sé la credibilità” di Cohen, ha aggiunto Cummings.