La notizia della condanna del cardinale australiano George Pell – accusato sia di aver protetto i preti pedofili da lui “dipendenti” sia di aver egli stesso abusato di due chierichetti – è giunta molto sgradita alla fine di un maxi-raduno voluto da Papa Bergoglio a Roma per discutere delle vicende di pedofilia che affliggono in giro per il mondo la Chiesa Cattolica. Subito qualche giornalista “papalino” si è affrettato a insinuare il sospetto di una “sentenza a orologeria”, volta a gettare un’ombra sulla iniziativa di Bergoglio contro la pedofilia nella Chiesa. Un tentativo ingenuo e inutile visto che l’iniziativa del Pontefice è stata comunque giudicata negativamente dalle associazioni dei familiari delle vittime dei preti pedofili, perché non ha portato a proposte concrete per risolvere il drammatico e diffuso problema.

Ma il massimo – per quel che mi riesce di leggere quotidianamente sui giornali – lo ha raggiunto Giuliano Ferrara, che sul Foglio parla di “caccia alle streghe”, mette in dubbio “l’attendibilità del reato (i fatti addebitati a Pell) sanzionato 23 anni dopo” e si chiede perché non si conosca il nome del chierichetto che accusa il cardinale “di avergli infilato il pene in bocca in sacrestia” (su questa formula brutale Ferrara torna più volte).

Passi per i vari portavoce del Vaticano, che non hanno molta scelta sulle dichiarazioni da fare, per cui non mi stupisco di nulla. Ma sembra incredibile che un giornalista della levatura di Ferrara non conosca le tante accuse che da molti anni sono state mosse a Pell da decine di vittime dei preti pedofili operanti sotto la sua giurisdizione: accuse riprese dalla stampa di tutto il mondo. Altro che un singolo chierichetto, il cui nome è ovviamente noto ai giudici australiani ma è giustamente tenuto riservato per umana pietà.

Su tutta la vicenda Pell ho avuto la fortuna di essere informato in tempo reale da un caro amico australiano, che mi segnalava via via le nuove accuse che piovevano sul Cardinale, mandandomi i link ai giornali che ne davano notizia. Ricordo in particolare un articolo terribile su Anthony Foster, il padre di due bambine molestate da un prete (una si suicidò, l’altra è su una sedia a rotelle dopo un incidente causato dall’alcolismo).

Dalle deposizioni di Pell alla Royal Commission governativa australiana che indagava sui preti pedofili e i loro protettori – come ha ricordato uno dei pochissimi giornalisti italiani che dicono le verità scomode sulla Chiesa, Emiliano Fittipaldi – emerse un quadro agghiacciante: centinaia di bambini e bambine molestati e stuprati, marchiati per sempre dall’orrore delle loro storie. E dall’altro lato le risposte di Pell, arroganti o al massimo imbarazzate, come quelle di Eichmann raccontate da Hannah Arendt ne La banalità del male: da quella minimizzante (“forse avrei dovuto essere più attento”) fino a quella da caserma (i preti che molestano i bambini “sono come i camionisti che molestano le autostoppiste: non sarebbe appropriato che i dirigenti di quella compagnia di trasporti fossero considerati responsabili“).

Per queste ragioni ho tentato invano per anni, con alcuni articoli pubblicati dovunque trovavo ospitalità, di denunciare la scelta di Papa Bergoglio di elevare Pell all’incarico di responsabile delle finanze vaticane, uno dei tre incarichi più importanti nella gerarchia, dove fra l’altro Pell fu accusato di aver sperperato cifre enormi per uso personale. Una scelta compiuta – inspiegabilmente – pur essendo già note, all’epoca, le accuse gravissime che continuavano ad abbattersi sul cardinale.

E mi ha sorpreso – ancor prima di scandalizzarmi, perché non posso dubitare della intelligenza del Papa argentino – la scelta di Bergoglio di rendere omaggio a un altro Cardinale accusato di pedofilia, quel George Law reso tristemente noto dal film Spotlight. Law era stato chiamato a Roma da Papa Ratzinger, che gli aveva affidato la guida della Basilica di Santa Maria Maggiore. Quando Law è morto è stata organizzata in suo onore (!) una messa solenne in San Pietro, aperta dal Cardinale Sodano e chiusa da Papa Bergoglio: quasi un gesto di sfida a chi vorrebbe che la giustizia umana possa raggiungere anche i Cardinali, prima che se ne prenda cura quella Divina.

E mi sono tornate alla mente – ridando fuoco al mio anticlericalismo – le immagini di Wojtyla al balcone con Pinochet a Santiago del Cile e i racconti di mia figlia antropologa sulla vera e propria persecuzione messa in atto prima da Wojtyla e poi da Ratzinger verso i predicatori della “Teologia della Liberazione” nei Paesi più poveri del Sud America: una persecuzione che certamente non ha giovato al capo spirituale di quella teologia degli umili, monsignor Romero, ucciso sull’altare a San Salvador dagli “squadroni della morte” il 24 marzo 1980 e tardivamente beatificato da Papa Bergoglio.

Quando finalmente Pell è stato destituito dal suo incarico, egli è stato costretto a rientrare nel suo Paese, dove è stata dichiarata la sua colpevolezza e ora si attende di conoscere l’entità della condanna: i 50 anni di carcere di cui si parla non sono certo dovuti “solo” allo “stupro orale” di un anonimo chierichetto.

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