Con un governo che cambia i contratti, non sta ai patti, cambia le leggi e le fa retroattive l’Italia non è affidabile dice il ministro Giovanni Tria, riferendosi alla vicenda Tav Torino-Lione, e nessuno viene da noi a fare investimenti. Ma il titolare del Ministero dell’Economia dov’era quando per la ricostruzione del ponte di Genova è stata fatta una consultazione di mercato senza bando e senza nessuna trasparenza, cui ha partecipato tra gli altri il gruppo cinese CCCC che ha appena terminato il ponte più lungo del mondo (55 km) in Cina? Questo gruppo aveva fatto l’offerta con il miglior rapporto costo/qualità/tempi. Peccato che il vincitore fosse già deciso, cioè il Consorzio Nazional-Politico-Istituzionale guidato da Fincantieri e comprendente Italferr (gruppo FS) e Impregilo.
Ma tra i più famosi voltafaccia italiani va ricordata anche la mancata privatizzazione di Alitalia che ha portato il partner olandese Klm a recedere unilateralmente dalla Joint venture. Correva l’anno 2000 e il governo era un altro. E ancora avevamo un grande costruttore austriaco: Strabag, che stava costruendo la Pedemontana lombarda ai tempi di un altro governo ancora, ma prima le si impedisce per anni di costruire per nascondere il fatto che mancano i soldi, e poi per tagliare la testa al toro (e ben altro alla credibilità nazionale) si rescinde il contratto, salvo poi risedersi al tavolo con la Stabag per risolvere il maxi-contenzioso proprio in questi giorni.
Il fallimento e il rallentamento dei progetti infrastrutturali che riducono la capacità della spesa pubblica e degli investimenti privati, soprattutto stranieri, deriva non solo da limiti burocratici. E’ completamente sbagliato l’approccio seguito per il project financing, strumento largamente utilizzato in Europa ma fallimentare in Italia. Il project financing implica che il soggetto pubblico confezioni progetti che convincano il privato a rischiare con i propri capitali confrontandosi con altri concorrenti sulla base di una procedura di gara credibile, a partire dalla certezza delle disponibilità finanziaria. Nel resto d’Europa si avviano le opere solo con i contratti di credito firmati dalle banche già in fase di gara, o immediatamente dopo, per poter essere valutati come investitori credibili, invece i contratti ancora non ci sono, o sono solo ora in corso di negoziazione o di rinegoziazione, come nel caso attuale di Pedemontana Lombarda e Veneta (nella lista delle grandi opere bloccate), con il forte rischio di una scopertura finanziaria incompatibile con l’avanzamento dell’opera.
Il project financing, dunque, deve e può essere uno strumento che certifica anche il buon operato dell’amministrazione committente e della sua credibilità: solo progetti convincenti e con un buon rapporto costi/benefici potranno ottenere la copertura di finanziamenti privati. Ma questo non sembra essere stato compreso dagli amministratori regionali o statali, che anziché dagli investitori privati, colano dalle labbra del Ministro dell’Economia e dal Cipe per farsi finanziare progetti che il più delle volte non stanno in piedi e che appena partiti fanno schizzare i costi all’insù.
Se i progetti a fondo perduto sono spesso una palla al piede il project financing delle infrastrutture è l’uovo di Colombo per autorizzare qualsiasi progetto autostradale grazie al federalismo dei trasporti. Una sorta di bacchetta magica del mercato. Mancano progetti di qualità inseriti in una pianificazione della mobilità: la Tav si arenerà a Torino, come si è arenato il Traforo del Gottardo a Como, come si impantanerà a Pavia il terzo valico e il Brennero a Bolzano e Verona, che delinei priorità e obiettivi pubblici delle opere sulla base di seri bilanci costi-benefici, che considerino anche i costi ambientali, fiscali e sociali.
Il mercato non dispone di bacchette magiche, le risorse pubbliche diminuiscono diminuendo la produzione di ricchezza e aumentando il debito. Senza credibilità delle stazioni appaltanti italiane difficile cogliere delle opportunità per molti progetti spacciati per finanziati dai privati ma invece sostenuti da garanzie pubbliche e da contributi pubblici. Sorprendente è il caso della Tangenziale Est Milanese che ha potuto disporre di 330 milioni di defiscalizzazione, della Brebemi di 320 milioni di aiuti di Stato e della Pedemontana lombarda di 400 milioni di defiscalizzazione. Tutto a gara conclusa.
Sempre nel caso delle autostrade regionali si assiste a una palese inversione di ruoli: il pubblico non fa programmazione della mobilità né pianificazione delle infrastrutture, si limita a fare da cassetta da ricettacolo per ogni proposta che venga da lobby più o meno organizzate di imprese o di costruttori, compilando elenchi sempre più interminabili senza un preciso disegno e senza garanzie e, spesso, senza adeguate qualità progettuali. Caro ministro Tria, è da qua che devi partire.