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Egitto, chitarrista in carcere da 10 mesi per una canzone mai scritta. La campagna per liberarlo: rischia di perdere le dita

Rami Sidky è detenuto in condizioni inumane, forse per aver collaborato con un'artista poi autore di un brano contro il presidente el-Sisi. L'impegno di accademici, avvocati e musicisti per liberarlo: "Non si sa nemmeno per cosa è indagato". Intanto l'ex generale al potere continua la repressione delle attività culturali e prosegue la modifica della Costituzione per rimanere presidente fino al 2034. E dice: "Diritti umani? Abbiamo la nostra moralità"

È in carcere senza un’accusa e per una canzone che non ha mai scritto. È la storia di Rami Sidky, chitarrista egiziano di 33 anni. Da 10 mesi è rinchiuso nel penitenziario cairota di Tora e a causa delle inumane condizioni di detenzione rischia di perdere le dita e di non poter suonare più. Per la sua liberazione è nata una campagna grazie all’impegno di circa 20 accademici, avvocati e musicisti che si occupano di mondo arabo fra Olanda, Germania, Italia e Gran Bretagna. “Abbiamo iniziato con un gruppo whatsapp per cercare di spingere i governi europei a chiedere la sua liberazione. Alla nostra iniziativa stanno aderendo anche diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani come Amnesty International“, spiega Andrea Teti, professore di Relazioni Internazionali all’Università di Aberdeen.

Sidky è stato arrestato nel maggio 2018 mentre rientrava con la sua band da un concerto a Beirut. La sua famiglia e gli attivisti denunciano che da allora Sidky è rinchiuso in una cella di 15 metri quadrati assieme ad altre persone senza accesso diretto ai suoi avvocati. La sua detenzione viene rinnovata ogni 45 giorni e non c’è mai stato un rinvio a giudizio: una situazione che in Egitto dopo il golpe del 2013 è molto frequente nel caso di detenuti sia politici che non. “Al momento gli avvocati di Rami non sono riusciti nemmeno a sapere per cosa è indagato e da 10 mesi non ha ancora avuto un rinvio a giudizio. Abbiamo voluto sostenere la sua famiglia e la sua band che da mesi si stanno battendo per il rilascio”, continua Teti.

L’ipotesi più attendibile è che l’artista sia finito nel mirino delle autorità egiziane per una precedente collaborazione con il cantautore Ramy Essam. Essam è noto per il suo attivismo, era una delle voci della rivolta di Piazza Tahrir e ora si trova in esilio in Europa. Nel febbraio 2018, un mese prima delle ultime elezioni presidenziali, Essam pubblicò una canzone che invitava le persone a lasciare l’Egitto a causa delle condizioni economiche disastrose e della mancanza di diritti umani. Il titolo era Balaha (Dattero): un nomignolo che richiamava uno squilibrato protagonista di un film egiziano ma che nel testo era esplicitamente attribuito al presidente Abdel Fattah el-Sisi.

La canzone era diventata virale su Youtube raggiungendo in poco tempo quasi 3 milioni di visualizzazioni. Ed è dietro al testo di questo brano che potrebbero celarsi i motivi per che hanno portato le autorità egiziane ad arrestare Sidky. “Anche qui però l’arresto di Sidky lascia perplessi perché è dal 2013 – cinque anni prima dell’uscita di Balaha – che Sidky non solo non collabora con Essam, ma ha rotto tutti i rapporti”, continua Teti. “Per di più, Sidky, a differenza di Essam, non è mai stato un attivista politico né è stato affiliato ad alcun partito”.

La storia di Sidky non è un caso isolato: l’Egitto conta decine di migliaia di prigionieri – politici e non – e la ferocia del regime egiziano ha allungato i suoi tentacoli anche sulla musica e sulle attività culturali. Già nel 2017 la band indie Mashrou’ Leila fu bandita dal paese dopo che alcuni spettatori avevano sventolato una bandiera arcobaleno, simbolo degli attivisti Lgbt, durante un concerto in Egitto. Dopo l’esibizione, sette persone furono arrestate e quell’episodio resta ancora uno dei punti apicali della repressione egiziana contro musicisti e artisti.  Lo stesso presidente el-Sisi, rispondendo a una domanda sul rispetto dei diritti umani lunedì nel corso del summit Ue-Lega Araba, ha dichiarato: “Lo dico in tutta franchezza. Non ci detterete quale debba essere la nostra umanità. Noi abbiamo la nostra umanità, noi abbiamo i nostri principi, noi abbiamo la nostra moralità. Voi avete i vostri, noi li rispettiamo. E’ per questo che vi chiediamo di voler rispettare i nostri principi e costumi, come noi rispettiamo i vostri”.

La censura del regime su questo fronte appare ancora più grave se si considera che l’Egitto ha sempre rappresentato un hub culturale per il mondo arabo. Negli anni ’50 il cinema egiziano e la musica sono state le colonne portanti della produzione culturale panaraba. E dopo la rivoluzione del 2011 una nuova ondata di artisti venne alla ribalta. Ora la maggior parte di loro è in esilio mentre diversi centri culturali del Cairo hanno cessato l’attività o hanno dovuto affrontare diversi tentativi di chiusura da parte delle autorità.

Dal 2013, anno in cui l’ex generale el-Sisi prese il potere con un colpo di stato, la violenza del regime egiziano ha raggiunto dei livelli senza precedenti nella storia moderna del Paese. Negli ultimi giorni, gli appelli delle organizzazioni internazionali per fermare le esecuzioni di massa sono rimasti per l’ennesima volta inascoltati: nove condanne a morte sono state eseguite proprio ieri in una prigione del Cairo.

Poche ore prima l’ex corrispondente del New York Times, David Kirkpatrick, è stato fermato all’aeroporto della capitale e rilasciato sette ore dopo. Le autorità egiziane non hanno fornito una spiegazione sull’accaduto. Con la maggior parte degli oppositori in carcere o in esilio, le autorità egiziane continuano a operare indisturbate. Il presidente el-Sisi alcuni giorni fa ha ottenuto il primo via libera dal parlamento per continuare la sua presidenza sino al 2034 e modificare la Costituzione che prevede il limite massimo di due mandati.