Le inesattezze nella presentazione del nuovo bando, unite alla decisione del tribunale amministrativo, permetteranno a Roma Tpl di gestire il 20% del trasporto di superficie nella Capitale per almeno 2 anni oltre la scadenza naturale dell’affidamento, intascando 100 milioni l’anno. Mentre il Campidoglio potrebbe ritrovarsi con una maxi-vertenza lavorativa a ridosso della campagna per le comunali 2021
L’assessore capitolino ai Trasporti, Linda Meleo, avrebbe già voluto procedere alla revoca del contratto di servizio nel 2017. Virginia Raggi, addirittura, aveva affermato che “il servizio viene gestito malissimo”. E invece, una serie di errori paradossali nella presentazione del nuovo bando, unita alla bocciatura della gara da parte del Tar del Lazio, permetterà alla società privata che gestisce il 20% del trasporto di superficie a Roma di continuare a farlo per almeno due anni oltre la scadenza naturale dell’affidamento. Con il risultato di farle incassare, in proroga, altri 100 milioni l’anno, mentre il Campidoglio potrebbe ritrovarsi, potenzialmente, con una maxi-vertenza lavorativa a ridosso della campagna elettorale per le comunali del 2021. Il servizio è quello gestito dalla Roma Tpl, il consorzio d’imprese che nel 2010 – in piena era Alemanno – si è aggiudicato la gara da 800 milioni in 8 anni per la gestione dei bus di periferia nella Capitale, appalto ottenuto con appena lo 0,06% di ribasso. Una cifra monstre cui si è aggiunto, negli anni, il maxi-ricorso vinto dalla società privata contro il Comune di Roma per 138 milioni di euro. Ben 77 milioni di questi soldi sono finiti nel calderone del concordato Atac, un debito prontamente contestato da Roma Capitale e scaricato sulle casse disastrate dell’azienda capitolina.
GLI ERRORI NEL PRE-BANDO – Molto particolare il percorso che ha portato il Campidoglio a questa situazione. Con l’affidamento a Roma Tpl in scadenza a maggio 2018, il Dipartimento Mobilità a luglio 2017 ha presentato un preavviso di gara che conteneva una serie di macroscopici errori. Il primo, l’indicazione di un indirizzo web errato, un fantomatico “www.romacapitale.it”, che dal 2002 risulta un sito commerciale e che non sarebbe mai appartenuto al Comune di Roma. Poi c’e’ stato l’importo minimo errato: anziché la cifra di 111.783.000, sul bando figurava un importo di soli 11.783.000 euro. La terza variante ha riguardato l’importo massimo errato: non era chiaramente scritto che gli importi, tra cui quello massimo di 167.674.500 euro, si riferiva ad un solo anno, mentre l’appalto è per 8 anni. Tre modifiche, ottemperate una alla volta in Gazzetta Ufficiale, che hanno fatto perdere diversi mesi a tutto l’iter. In questo lasso di tempo, il Dipartimento ne ha approfittato per cambiare idea sul numero di chilometri da affidare ai privati: il pre-bando prevedeva l’aumento da 30 milioni a 45 milioni, suddiviso in 2 lotti, mentre il bando definitivo ha riportato il conteggio finale a 30 milioni di chilometri, spingendo la base d’asta a quota 120 milioni di euro.
IL RISCHIO DELLA CLAUSOLA SOCIALE – Tutto a posto, dunque? Neanche per sogno. Una volta pubblicata, quattro società interessate alla gara hanno presentato ricorso al Tar del Lazio. Sono Busitalia (gruppo Fs), Autoguidovie, Sia e Gtm. Ognuna di queste ha impugnato vari passaggi della gara d’appalto. Ad esempio, il bando impone a chi subentra di riacquistare obbligatoriamente tutti i mezzi utilizzati da Roma Tpl in questi anni – anche quelli andati a fuoco – a un prezzo “prossimo a quello di produzione”, clausola comunque prevista dalla normativa. Tutte, però, si sono opposte alla clausola sociale imposta dal Campidoglio che prevede “la continuità lavorativa di tutto il personale”. Una condizione irrinunciabile per l’amministrazione pentastellata, visto che l’importo minimo atteso è più elevato di quello assegnato 9 anni fa – mentre i chilometri da percorrere sono gli stessi – e che in questi anni la Roma Tpl si è distinta per tutta una serie di pagamenti fortemente ritardati nei confronti degli autisti, condizione che ha portato tanti disagi anche per i circa 500mila residenti nelle periferie e che aveva indotto l’assessora Meleo a ipotizzare la rescissione in danno del contratto. Cosa che non è mai avvenuta perché il consorzio ha sempre messo sul piatto i pagamenti posticipati da parte del Campidoglio, tenendo in pugno l’amministrazione pubblica. E se davvero la clausola sociale per i 1900 dipendenti di Roma dovesse saltare, il 2020-2021 potrebbe essere una stagione non facile per il Campidoglio.
IL LODO E IL NOLEGGIO – Insomma: un pre-bando procrastinato per errori macroscopici e una gara bocciata per “errori tecnici” da verificare. Responsabile del procedimento è Giammario Nardi, nominato lo scorso anno da Virginia Raggi direttore del Dipartimento Mobilità, per lavorare a stretto contatto con il capo segreteria di Linda Meleo, il fedelissimo Salvatore Romeo. Nardi ha un passato da vicecapo di gabinetto di Gianni Alemanno, ruolo che ha ricoperto dal 2008 al 2012, prima di essere nominato presidente della Commissione collaudo della Metro C. Parallelamente, in quel periodo, un lodo arbitrale voluto dal centrodestra – fortemente censurato dal sindaco Ignazio Marino – assegnava a Roma Tpl un credito di 68 milioni, con gli anni cresciuto fino a quota 138 milioni perché poco dopo disconosciuto dall’ex assessore ai Trasporti di Alemanno, Antonello Aurigemma. Una quota in Roma Tpl ce l’ha anche la Cialone Tour, società di proprietà del direttore generale del consorzio, Marco Cialone, da cui Roma Capitale ha noleggiato per 18 mesi i primi 38 autobus dei 108 veicoli da utilizzare nei prossimi mesi.