LA CASA DI JACK di Lars von Trier. Con Matt Dillon, Bruno Ganz, Uma Thurman. Danimarca 2018. Durata: 155’. Voto: 4,5/5 (AMP)
Il film definitivo. La divina tragedia secondo Lars Von Trier. Nel bene o nel male che la critica decreti. Tanto a Lars nulla importa, e va bene così quando si è dotati di uno sguardo oltre, di una personalità schizofrenica (non per lui non è offesa) che separa genialità artistica a nefandezze umane. Perché stiamo parlando di un viaggio all’inferno della nostra anima. Jack (Matt Dillon, perfetto), l’ingegnere/architetto che costruisce e demolisce la sua casa dei sogni (perché non è di mattoni che dovrà essere edificata ma di ben altra “materia organica”), è nome omen dell’arma con cui efferatamente uccide la prima vittima (Uma Thurman) di una lunga serie. Maniaco ossessivo della pulizia, perfezionista e idealista dalle chiare nevrosi, perpetua litanicamente le sue atroci “opere d’arte” cercando di raggiungere un sublime di fronte al quale l’unico interlocutore può arrivare dall’aldilà cioè dall’interno della coscienza, che porta il nome di Virgilio (il compianto Bruno Ganz). Opera dall’epilogo esplosivo ma che già al suo interno esibisce indizi metareferenziali in senso stretto e in senso ampio, ovvero all’intero corpus cinematografico di Lars von Trier inclusivo degli universi conoscitivi e sensoriali di cui da sempre il cineasta si nutre. Impossibile costringere un (iper)testo così vasto e profondo in poche righe, come non basterà allo spettatore un giudizio a caldo: serve tempo, assorbimento, riflessione. Ma di certo La casa di Jack scoppia nel cuore e nello stomaco. Un consiglio: gustarlo nella versione (più) integrale possibile.