Rocco Greco aveva denunciato il pizzo ma aveva fatto denunciare e condannare i suoi estorsori. I quali a sua volta lo avevano denunciato. Poi il Tribunale lo aveva assolto. Quella sentenza, però, non è bastata per impedire alla prefettura di prevedere l’interdittiva per la sua azienda. Un provvedimento che gli aveva fatto perdere tutti gli appalti. Ieri la decisione di farla finita
Aveva denunciato il pizzo di Cosa nostra. Ma la perversa burocrazia italiana è arrivata lì dove i boss mafiosi non erano riusciti: eliminare Rocco Greco, l’imprenditore simbolo dell’antiracket a Gela. Umiliato da un sistema che ha distrutto la sua azienda, l’uomo si è ucciso nella sede della sua azienda in provincia di Caltanissetta. A raccontare la sua storia è il quotidiano La Repubblica.
L’imprenditore aveva fatto denunciare e condannare i suoi estorsori. I quali a sua volta lo avevano denunciato. Poi il Tribunale lo aveva assolto. Quella sentenza, però, non è bastata per impedire alla prefettura di prevedere l’interdittiva per la sua azienda. Un provvedimento che gli aveva fatto perdere tutti gli appalti. Mercoledì la decisione di farla finita. Si è ucciso con un colpo di pistola nella sua azienda, la Cosiam: è stato poi trasportato in ospedale dove è morto. “Denunciare i boss del pizzo mi è costato caro“, continuava a ripetere ai familiari.
“Mio padre era finito dentro una storia paradossale. I mafiosi che aveva fatto condannare lo avevano denunciato. Ma, poi, ovviamente, era arrivata l’assoluzione. Il giudice aveva ribadito che Rocco Greco era stato vittima della mafia, non socio in affari dei boss“, racconta il figlio Francesco al giornalista Salvo Palazzolo. Nonostante ciò nell’ottobre scorso il ministero dell’Interno ha negato alla ditta dell’imprenditore l’iscrizione nella white list necessaria per partecipare ai lavori di ricostruzione dopo il terremoto in centro Italia. Scrive la Struttura di missione antimafia sisma: “Nel corso degli anni ha avuto atteggiamenti di supina condiscendenza nei confronti di esponenti di spicco della criminalità organizzata gelese”. “Ma come si fa a dimenticare che aveva denunciato? Proprio con la denuncia aveva scelto di non essere più supino a quel sistema che vigeva a Gela”, dice sempre al quotidiano di largo Fochetti l’avvocato Alfredo Galasso.
La storia di Greco comincia nel 2007, quando denuncia i boss della Stidda e di Cosa nostra a Gela. Ma non solo. Riesce anche a convincere sette imprenditori a fare la stessa cosa. Quelle denunce di quegli imprenditori fecero scattare undici arresti. E poi avevano portato a condanne per 134 anni di carcere. Una sentenza confermata dalla Cassazione. Che ha smentito le accuse dei mafiosi alla sbarra contro chi aveva denunciato: “Ma quale pizzo, gli imprenditori pagavano il nostro sostegno. E spartivamo gli utili”.
Nonostante persino la Suprema corte avesse confermato lo status di vittime degli imprenditori, però, per il Viminale rimaneva un dato: quelle vittime si erano relazionate con i boss, e fino a un certo momento avevano accettato di pagare il pizzo. “Non dobbiamo dimenticare cos’era Gela all’epoca. Più di cento morti in un anno. E veniva ucciso anche chi non pagava il pizzo”, ricorda il figlio di Greco. La burocrazia, però, non perdona. Dopo l’ultima intedittiva antimafia all’azienda di famiglia sono saltate tutte le commesse e 50 operai sono stati licenziati. “Ormai, il problema sono io. Se vado via, i miei figli sono a posto”, dice l’imprenditore alla moglie. Martedì sera l’ultima cena con la famiglia: “Papà era euforico. Mi sembrò strano. Diceva: che bella serata stiamo trascorrendo. Non capivo”, racconta il figlio. Il giorno dopo si è svegliato all’alba, è andato in azienda e si è sparato. Non lo ha ucciso la mafia ma lo Stato.