Sui social si spacciava per un famoso ginecologo e riusciva ad attirare l’attenzione di ragazze minorenni prospettando un fantomatico trattamento anticoncezionale noto come “Neutro”, si conquistava la loro fiducia e le costringeva a subire abusi sessuali. Dietro ai falsi profili si nascondeva un ingegnere di 50 anni originario della Brianza che ora è stato arrestato dai poliziotti del Commissariato di Monza dopo la denuncia del padre di una delle vittime. La figlia era stata prima circuita attraverso una piattaforma di messaggistica istantanea, poi abusata in un appartamento nella disponibilità del falso medico. Gli inquirenti hanno individuato altre due giovani vittime dell’uomo, ma potrebbero esserci stati altri casi ancora non accertati. Violenza sessuale aggravata, adescamento e invio di materiale pedopornografico sono le accuse di cui dovrà rispondere davanti ai magistrati.
Dalle indagini sono emersi infatti decine di falsi profili social riconducibili al 50enne, che si era creato degli alter ego per indurre le possibili prede a credere di chattare con coetanee, sfruttando così fragilità e debolezze fino ad arrivare a minacce e richieste di denaro. La leva privilegiata erano i sensi di colpa indotti nella vittima. La seconda minorenne, ad esempio spiegano gli investigatori, è stata costretta a subire gli atti sessuali “sotto la minaccia di gravi danni, di natura fisica, economica e morale”, come la richiesta di 365 euro se si fosse opposta al rapporto o la minaccia di raccontare tutto alla famiglia se non avesse pagato. La terza giovane vittima invece, era stata coinvolta in una relazione sentimentale che è poi diventata una trappola.
Le vittime, come delineato nella relazione clinica della psicologa che ha affiancato gli agenti del Commissariato Monza in sede di audizione delle minori, “hanno subito atti sessuali altamente lesivi, in quanto prive degli strumenti per riconoscerli”. Le indagini, coordinate dalla procura di Milano, hanno consentito di raccogliere “significativi elementi di prova” tanto da far ritenere al gip che il carcere fosse l’unica misura idonea ad evitare “il concreto rischio di inquinamento probatorio sia in ordine alla manipolazione del materiale informatico in suo possesso, sia al possibile condizionamento di altre parti offese, e di quelle eventualmente coinvolte”.