Giosuè Ruotolo è stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’assise di Appello di Trieste per l’omicidio di Teresa Costanza e Trifone Ragone, la coppia uccisa la sera del 17 marzo 2015 a Pordenone. Il verdetto di secondo grado conferma quindi l’esito del processo istruito in primo grado che nel novembre 2017 aveva portato al fine pena mai e all’isolamento diurno per due anni.
A sparare diversi colpi di pistola contro i fidanzati nel parcheggio del palazzetto dello sport friuliano, secondo la Corte d’assise di Appello, fu il commilitone di Ragone, come già sostenuto dal pubblico ministero Pier Umberto Vallerin. Ruotolo, 29 anni, si è sempre dichiarato innocente e intervenendo oggi in aula per dichiarazioni spontanee ha detto: “Tra me e Trifone c’era un rapporto cordiale. Sono stato condannato all’ergastolo, ma di mio in questo processo non c’è nulla, come confermato anche dai Ris di Parma. Non ho mai litigato né verbalmente né fisicamente con Trifone e in questo senso sono le testimonianze dei commilitoni”.
I carabinieri avevano impiegato un anno per raccogliere gli indizi che hanno portato nel 2016 all’arresto di Ruotolo, mentre per la fidanzata Rosaria erano scattati i domiciliari per favoreggiamento. Già a marzo 2015 nel cellulare di Teresa, la vittima, era stata trovata una chat con utente Anonimo Anonimo, una serie di messaggi inviati da Ruotolo che avrebbero avuto l’obiettivo – secondo l’accusa – di creare dissapori tra Trifone e la sua donna.
A settembre 2015, grazie a un’intuizione dei carabinieri era stato scandagliato il laghetto del parco di San Valentino, poco lontano dal luogo dell’uccisione, dove era stata trovata l’arma del delitto, una Beretta del 1922. Nel frattempo le registrazioni delle telecamere avevano immortalato l’Audi dell’imputato che si allontanava dal piazzale e passava nei pressi del parco. Ruotolo ha detto sempre nel parco era andato per fare jogging, ma poi aveva rinunciato ed era tornato a casa.
I suoi legali hanno puntato sull’assenza di un movente. Non basta un presunto screzio tra commilitoni (per un periodo avevano abitato assieme in un appartamento), forse culminato parecchi mesi prima dell’omicidio in una lite furibonda, a giustificare l’esecuzione. E neppure il rischio di subire procedimenti disciplinari perché i messaggi del famoso Anonimo Anonimo risultavano spediti dal wi-fi della caserma. Poco, troppo poco, per uccidere, è stata l’estrema trincea della difesa. Ma per i giudici di primo e secondo grado le cose non stanno così.