Patteggiano (con pene sospese) i collaboratori che hanno scoperchiato lo scandalo, spingendo a processo anche l'ex governatore di Forza Italia
Pagano anche i pentiti, i collaboratori che hanno scoperchiato lo scandalo Mose. Sono trascorsi quasi cinque anni dalla grande retata in Laguna che nel giugno 2014 decapitò i vertici del Consorzio Venezia Nuova, del potere politico e imprenditoriale, che sul colossale affare delle paratoie mobili per difendere Venezia dall’acqua alta ha costruito ricchezze personali e causato uno scialo di denaro pubblico. E’ arrivato il momento dei patteggiamenti anche per coloro che hanno inchiodato l’ex presidente del Consorzio, Giovanni Mazzacurati, l’ex governatore del Veneto e ministro, Giancarlo Galan, e l’assessore regionale Renato Chisso, oltre a decine di imprenditori, funzionari e amministratori pubblici. Il giudice dell’udienza preliminare Gilberto Stigliano Messuti ha messo il sigillo sulle pene concordate tra il procuratore aggiunto Stefano Ancillotto e cinque grandi accusatori, che variano tra i due anni e un anno e 8 mesi di reclusione, con la confisca complessiva di beni per 23 milioni di euro.
Due anni ciascuno è la pena inflitta (in continuazione con i patteggiamenti del 2013 per le false fatture) all’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, e all’ex segretaria di Galan, nonché amministratore di Adria Infrastrutture, Claudia Minutillo. Stessa pena per l’intermediario padovano Mirco Voltazza. Un anno e 8 mesi sono stati invece inflitti a Nicolò Buson, ex direttore amministrativo della Mantovani, e a Pio Savioli, ex componente del consiglio direttivo del Consorzio Venezia Nuova. Le accuse erano differenti, a seconda del ruolo che ognuno aveva rivestito nel complesso sistema Mose, ma le principali, a diverso titolo, riguardavano la corruzione e reati fiscali. A tutti è stata concessa la sospensione condizionale della pena, con riduzione di un terzo per il patteggiamento e dei due terzi per l’attenuante prevista dalla legge Severino per chi aiutava a scoprire i reati di corruzione.
Complessivamente le confische superano i 22 milioni di euro: 10 milioni e 886mila euro sia per Baita che per Buson, un milione e 277mila euro per Savioli, 170mila euro a Voltazza e 33mila euro alla Minutillo. In questo modo la parte penale dello scandalo Mose si può dire conclusa. Rimane aperta la posizione di Giovanni Mazzacurati, il presidente del Consorzio, che pure collaborò con gli inquirenti, ma che si trova negli Stati Uniti, in condizioni di salute tali che non lo rendono capace di partecipare al processo.
“Questo – commenta il pubblico ministero Stefano Ancilotto – è il processo della mia vita professionale. La prima indagine fiscale sulla Mantovani è iniziata nel dicembre 2010”. Nel 2013 ci furono i primi arresti per false fatture, da cui è scaturito il filone Mose. “Grazie alle deposizioni di chi ha patteggiato siamo arrivati qui. Finora abbiamo garantito allo Stato il recupero di quasi 38 milioni di euro, già incassati dal Fisco. L’inchiesta Mose ha fatto pulizia di una classe dirigente corrotta che nei giorni degli arresti era al potere in Veneto e al punto massimo della propria carriera politica”.