Avrete letto della proposta veneta di istituire un albo regionale per prostitute. Pare che il primo ok sia stato dato e al di là delle mistificazioni delle abolizioniste – quelle che disapprovano per partito preso, giusto perché pensano di sapere cosa sia meglio per le altre donne, soprattutto per quelle che scelgono di vendere servizi sessuali – vanno fatte delle importanti e documentate considerazioni in merito.

Come dice Pia Covre, presidentessa del Comitato per la difesa dei diritti civili delle prostitute, il tema viene riproposto quando c’è una campagna elettorale come arma di distrazione di massa. Nessuna delle parti istituzionali impegnate nella discussione in realtà pare essere realmente interessata alla questione. Se così fosse allora si sarebbero premurati di discutere della proposta proprio con le persone interessate, ovverosia con le sex workers. Invece la proposta arriva dall’alto di una concezione paternalistica e securitaria che più che alle sex workers pensa a rimettere “ordine” sulla questione allo stesso modo in cui si faceva nel Ventennio.

Analizziamo dunque insieme la proposta per capire di cosa parla. Il testo non è recente ed è stato presentato da Antonio Guadagnini nel 2016. La relazione iniziale parla di tutto e di più. Non c’è nulla però che ci dica quale sia il reale vantaggio per le sex workers. Si parla di inasprimento di pene per lo sfruttamento, dell’inefficacia della legge Merlin e della necessità di imporre modalità securitarie per controllare il fenomeno. Io direi anche per controllare le persone, le sex workers in particolare.

Ricordo che il momento storico in cui si discute questa cosa è caratterizzato da alcuni fatti precisi: le amministrazioni locali ricevono meno soldi dallo Stato e dunque hanno bisogno di inventare ricette per guadagnare per conto proprio. Le ordinanze pro-decoro approvate dai sindaci sceriffi in moltissime città italiane sono mirate proprio a ottenere soldi grazie alle salatissime multe (fino a 500 euro a botta) inflitte alle sex workers. La prostituzione in Italia è legale e dunque come sanzionarla? Multando le prostitute perché vestono abiti succinti (da lì la questione del decoro).

Queste ordinanze non solo hanno l’effetto di punire persone che non andrebbero affatto punite, ma impongono la marginalizzazione delle sex workers che per non essere multate sono costrette a lavorare in contesti periferici, al buio, dove sono più esposte allo sfruttamento, alle rapine e agli stupri. Le multe diventano perciò il modo per guadagnare sulla pelle delle prostitute che sono state relegate negli inferi. Non solo. La decisione di marginalizzarle è anche strettamente connessa al desiderio di controllo dell’immigrazione. Molte prostitute sono immigrate e per ogni sanzione arriva un controllo, per ogni controllo una possibile espulsione. Non si tratta perciò, come i sindaci dicono, di decisioni in difesa delle prostitute, ma proprio contro di loro.

Se le sanzioni non bastano a rimpinguare i fondi delle amministrazioni locali, allora che fare? Inventarsi un altro modo per sostituire le istituzioni ai protettori illegali. Si tratta di concepire le regioni, le amministrazioni, lo Stato, come protettori delle prostitute. Uno dei mantra degli elettori di destra è quello che dice che le prostitute non pagano le tasse. È falso. Le pagano eccome. Solo che quando vanno a richiedere una partita Iva nessuno gliela concede e dunque pagano le tasse senza godere di alcun diritto.

Allora qual è l’intento del legislatore nel caso della proposta veneta? Trovare soldi, togliere dalle strade persone immigrate, stigmatizzare le sex workers attribuendo loro il pregiudizio secondo il quale sarebbero sporche, igienicamente non sicure, dunque da controllare. Quando le leggi sono concepite come punizione e non per definire diritti, si tratta di disconoscimento della dignità delle lavoratrici del sesso. Non è lo Stato che chiede controlli sanitari per assicurarsi che i clienti non si ammalino. Sono le sex workers che devono godere del diritto a una giusta assistenza sanitaria per la propria sicurezza. Sono loro che devono essere protette e garantite, non il contrario. Se l’iscrizione all’albo è mirata alla schedatura di persone da controllare e trattare come oggetti di Stato, sarà senz’altro destinata a fallire. Non si tratta di un Albo, ma di un libro nero in cui alle prostitute non viene garantito, per esempio, alcun rispetto per la privacy.

Ma ecco quel che per sommi capi – riassumo – dice la proposta di legge.

[continua a pagina seguente]

Veneto, l’albo per le prostitute tutela i clienti e il buon costume. Non certo le ‘sex workers’

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