Spider-Man – Into the Spider-Verse della Sony, da poco disponibile anche in digitale, ha trionfato come miglior film d’animazione all’ultima cerimonia degli Oscar. I numeri al botteghino non sono stati quelli esorbitanti dei cinecomic in carne e ossa, ma la statuetta è giunta a confermare quella che era stata una reazione più che entusiasta della critica. Non era semplice, col peso di ben due reboot cinematografici alle spalle, ma al di là dell’eccellente – in alcuni casi innovativa – perizia tecnica e formale con cui il lungometraggio animato è stato realizzato, ci sono più ragioni, strettamente legate al contenuto dell’opera, per cui possiamo definire questo film il migliore mai realizzato sull’Uomo Ragno.
1. I mondi paralleli
Nell’era delle post-verità (spesso ridotte a una lotta per la delegittimazione della verità altrui), il film rilancia tuffandosi nell’era dei mondi possibili, delle più verità parallele, ma non per questo incapaci di incontrarsi, di conciliarsi. Spider-Man è il protagonista della storia ma non è un personaggio solo: ci sono numerosi Spider-Men di diverso genere, etnia, età e background culturale. Il vero primo attore non è lo storico Peter Parker ma Miles Morales, adolescente newyorchese figlio di un poliziotto nero e di un’infermiera portoricana, desideroso di sviluppare le proprie potenzialità nascoste e soprattutto alla ricerca di un proprio posto nel mondo. Specchio perfetto di una generazione nuova, forse più scanzonata rispetto a quella cresciuta all’ombra del mantra “da un grande potere derivano grandi responsabilità”, ma non per questo meno desiderosa di trovare un proprio linguaggio per comunicare col mondo spesso ostile degli adulti.
2. Peter Parker, uno di noi
Per la prima volta vediamo un Peter Parker non più eterno adolescente, ma a metà strada tra i 30 e i 40 anni, con tanto di pancetta sporgente dai pantaloni della tuta, usurato dai propri fallimenti privati e in piena crisi esistenziale, che ritrova nuova linfa vitale nel fare da guida a una nuova generazione di Spider-Men, come il protagonista Miles Morales. Perfettamente sovrapponibile all’attuale generazione di 30-40enni che hanno perso il proprio orizzonte perché fin troppo concentrati su se stessi. Il nuovo Peter ritrova se stesso quando finalmente ritrova la capacità di ispirare il prossimo.
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