Mauro Lonardo, presidente del collegio sindacale della municipalizzata, con i suoi pareri ha consentito al Campidoglio di cacciare il cda sgradito. Ilfatto.it ha scoperto che ricopre lo stesso ruolo nella società che deve costruire lo stadio sui terreni acquistati da Parnasi: è stato nominato quando "Mr Wolf" Lanzalone era al clou della sua influenza. Intanto Ama rischia la liquidazione e Acea fa sapere che reputa lo smaltimento “un’opportunità”
Lanzalone e Parnasi. Luca Lanzalone dominus dell’affare dello stadio della Roma. E consigliere d’amministrazione di Acea, mai revocato. Gli uomini consigliati da Lanzalone, tutti provenienti dalla Livorno di Filippo Nogarin, che – secondo l’assessore capitolino dimissionari – “comandano in Campidoglio”. Il revisore dei conti della società capitolina dei rifiuti Ama che, ribaltando un precedente parere, consente al Campidoglio per revocare il cda scomodo e chiedere l’approvazione dei bilanci in perdita. Ora si scopre che quello stesso revisore ricopre lo stesso ruolo nella società che deve costruire lo stadio della Roma sui terreni acquistati da Parnasi: è stato nominato quando Lanzalone al Comune faceva il bello e il cattivo tempo. Mentre la sua Acea “in astratto” dice a IlFattoQuotidiano.it che reputa “un’opportunità” lo smaltimento dei rifiuti romani. E il cerchio in questo scenario suggestivo, sembra chiudersi.
IL FILO CONDUTTORE – C’è un filo conduttore che lega la rete di “Mr. Wolf” Luca Lanzalone (ai domiciliari con l’accusa di corruzione), l’affare sullo stadio dell’As Roma e le vicende relative ad Ama Spa, la società capitolina dei rifiuti rivoluzionata dal Campidoglio guidato da Virginia Raggi. E che potrebbe non essere sfuggito alla Procura di Roma, dove una settimana fa si è svolta una riunione fra i pm che lavorano alle inchieste su Ama e sullo stadio. L’ultimo tassello del puzzle è quello legato alla figura di Mauro Lonardo, l’uomo chiave che, da presidente del Collegio sindacale della municipalizzata, con i suoi pareri ha di fatto dato le “pezze d’appoggio” al Comune di Roma per cacciare il cda sgradito non prima di aver scatenato le dimissioni dell’assessora all’Ambiente Pinuccia Montanari. IlFattoQuotidiano.it avrebbe avuto molte domande da fargli sulle informazioni che ha raccolto ma, pur avendo provato più volte a contattarlo al telefono e via whatsapp, non ha mai ricevuto risposte o riscontri.
Il grande elemento di novità è il seguente: da una visura camerale risulta che Lonardo il 18 dicembre 2017 è stato nominato sindaco della Stadio Tdv SpA, la società di James Pallotta che si occuperà di realizzare l’impianto dove giocherà la società giallorossa e che ha firmato un pre-accordo da 100 milioni di euro per l’acquisto dei terreni appartenenti alla Eurnova di cui era presidente e fondatore Luca Parnasi. Non solo. Quattro giorni dopo, il 22 dicembre 2017, lo stesso Lonardo veniva nominato sindaco della Neep Roma Holding Spa, società proprietaria al 79% dell’As Roma. Incarichi arrivati in un periodo in cui, secondo le inchieste, “Mr. Wolf” era al clou della sua influenza nelle questioni relative al Comune di Roma ed alla partita sull’impianto di Tor di Valle, poco prima di essere nominato presidente di Acea Spa, la quotata in borsa al 51% del Comune protagonista di un vecchio progetto per l’ingresso nel ciclo dei rifiuti a Roma. L’As Roma tramite il suo ufficio stampa ha fatto sapere di non aver nulla da commentare in merito. Oggi che Ama si appresta ad approvare due bilanci consecutivi in rosso (2017 e 2018) e a subire altre sanzioni rispetto al servizio effettuato, proprio i “privati” stanno a guardare. Fra questi Acea Spa, che interpellata da IlFattoQuotidiano.it frena ma non nega l’appetibilità del mercato romano.
IL PESO DI LONARDO NELLA PARTITA AMA E IL CAFFE’ CON GIAMPAOLETTI – “Forse c’è stata una sinergia fra il Collegio sindacale e il socio per farci cacciare”, ha azzardato il presidente uscente di Ama, Lorenzo Bagnacani, audito dalla Commissione regionale Ambiente del Lazio su richiesta della consigliera del Pd, Michela Di Biase. Aggiungendo che “le difficoltà di Ama sono state generate a tavolino”. Parole sue, messe a verbale, sulla cui veridicità – sia chiaro – non c’è alcuna evidenza. Tangibile, invece, il peso avuto dalle posizioni di Lonardo su tutta la vicenda, esposte da Bagnacani in commissione. Il professionista – che ha incarichi in aziende come Eni, Poste Italiane e Mediaset – è in Ama dal 2007 e fino al marzo 2018 non si era mai opposto al contenzioso da 18 milioni fra la municipalizzata e il Campidoglio che è sfociata nella crisi attuale. Nemmeno il 31 marzo 2018, con l’approvazione del primo progetto di bilancio firmato da Bagnacani. In estate cambia tutto. Ad agosto una lettera di Gianni Lemmetti – l’assessore capitolino al Bilancio portato a Roma proprio da Lanzalone – chiede formalmente di eliminare la partita finanziaria. Allegata a quella missiva una seconda lettera in cui il presidente dell’Ipa (l’istituto previdenziale dei dipendenti capitolini), Fabio Serini – anche lui voluto a Roma da Lanzalone – che reclamava nuovi crediti nei confronti di Ama. Il 13 novembre, Lonardo ritira il parere fornito in marzo che approvava il bilancio e il 20 novembre il direttore generale del Comune, Franco Giampaoletti – nominato anche lui su “consiglio” di Lanzalone e indagato per tentata concussione nell’inchiesta sui conti Ama – ne approfitta per contestare ufficialmente il credito. Pochi giorni prima, come riportato in un verbale Ama datato 14 novembre, di cui IlFatto.it è in possesso, c’era stato un incontro informale (“un caffè”, nella fattispecie) fra Giampaoletti e Lonardo in cui il dirigente capitolino informava il revisore del percorso amministrativo da seguire. Il 27 dicembre arriva il nuovo parere di Mauro Lonardo che boccia anche il secondo progetto di bilancio voluto da Bagnacani. E nonostante i 6 pareri pro-veritate forniti dal presidente, l’8 febbraio una nota di Giampaoletti dove si chiede di “rivedere il bilancio sulla base dei rilievi del collegio sindacale” apre le porte a Virginia Raggi per bocciare il documento finanziario e, pochi giorni dopo, revocare il cda.
IL FONDO IMMOBILIARE E GLI INTRECCI CON LO STADIO – Lonardo e Bagnacani nell’estate 2018 si erano confrontati in maniera piuttosto energica quando l’ex presidente aveva preso la decisione di chiudere “per inerzia” il Fondo Ambiente, aperto da Ama nel 2012 presso la Dea Capitale Real Estate Sgr, di cui il presidente del Collegio sindacale era – a titolo gratuito – componente del Comitato Consultivo. La DeA Capital (ex Idea Fimit) è la stessa società di gestione fondi immobiliari cui si era rivolta l’Eurnova di Luca Parnasi affinché acquistasse i terreni dove sorgerà l’impianto giallorosso; a Luca Lanzalone era stata promessa una consulenza per risolvere un contenzioso fra l’ex Idea Fimit e il Comune di Marino per il progetto Ecovillage. Ad acquistare i terreni di Eurnova, come detto, sarà la Stadio Tdv Spa, di cui Lonardo è sindaco, ma solo una volta che verrà approvata la variante urbanistica in Campidoglio. Secondo i pareri raccolti da Bagnacani, il collegio sindacale presieduto da Mauro Lonardo sarebbe decaduto l’11 novembre 2018, fattispecie che renderebbe nulli tutti gli atti promossi da quella data in poi, condizione totalmente smentita dal Campidoglio.
CHI SONO I “LANZALONE BOYS” – “La città è governata dagli amici di Lanzalone”, ha affermato Pinuccia Montanari in una dura intervista rilasciata a Maria Egizia Fiaschetti sul Corriere della Sera. Quello dei “Lanzalone Boys”, in fondo, è un concetto che sta molto a cuore ai pm di Roma. E che le opposizioni stanno sfruttando per attaccare politicamente Virginia Raggi. “Mr Wolf”, infatti, è ancora consigliere d’amministrazione di Acea. A Livorno è stato fra i fautori della procedura di concordato preventivo che ha portato al risanamento di Aamps. L’assessore al Bilancio a Livorno era Gianni Lemmetti, chiamato a Roma quando Raggi aveva bisogno di rimuovere Andrea Mazzillo, oppostosi allo stesso iter per Atac. Ai magistrati, hanno dichiarato di essere stati “consigliati” dal super consulente anche il dg Franco Giampaoletti e il presidente Ipa, Fabio Serini. Tutti, come abbiamo visto, coinvolti a vario titolo nella vicenda Ama. A Giampaoletti, in particolare, nel corso del 2018 è stato affidato l’interim al Dipartimento Partecipate, una sorta di assessorato-ombra dopo l’uscita di scena di Massimo Colomban. Sempre Giampaoletti, non a caso, è fra coloro che si sono occupati e si occupano del dossier Stadio della Roma. “Conservo gli appunti – ha dichiarato Montanari al CorSera – di una riunione fiume in Sala delle Bandiere, nella quale unico obiettivo di Lemmetti e Giampaoletti era chiudere il bilancio di Ama in rosso”. Durante il 2018, al cda è stato affiancato un direttore operativo, Massimo Bagatti, da poche ore nominato amministratore unico di Ama. L’ultima esperienza del neo numero prima di arrivare a Roma, inutile dirlo, è stata al servizio della città di Livorno con Filippo Nogarin sindaco.
I RISCHI PER L’AMA PUBBLICA – “Non ho la sfera di cristallo per capire il progetto sottostante, so solo che tutti gli atti sono stati indirizzati a far sì che il bilancio fosse in perdita”. Così ha risposto Bagnacani in audizione a Michela Di Biase che gli chiedeva se ci fosse contezza di un piano per portare Acea a sviluppare gli impianti di smaltimento dei rifiuti, lasciando ad Ama solo lo spazzamento. La società partecipata al 5% dal Gruppo Caltagirone non è mai stata citata dall’ormai ex presidente, ma il suo nome non viene evocato solo in virtù dello “scomodo” dirigente. Nel 2015, Ignazio Marino presentò un progetto aderente alle supposizioni della consigliera Dem – protagonista di quella stagione – mentre il cda uscente ha sempre spinto per il rilancio di “un’Ama pubblica al 100%”. Affermazione, quest’ultima, condivisa da tutti i comunicati messi in campo sia da Raggi che da Lemmetti. E allora? Secondo l’ex presidente, le parole non sarebbero suffragate dai fatti. “Con l’approvazione dei bilanci 2017 e 2018 in perdita lo spettro è quello dell’applicazione della delibera 52/2015, che prevede l’obbligo di portare i libri in tribunale al terzo bilancio in rosso”, ha spiegato Bagnacani in commissione. A quel punto, sarebbe impossibile per la società capitolina perseguire gli investimenti necessari per realizzare i 13 impianti proposti nel piano industriale e avrebbe bisogno di un aiuto esterno. “Tutto ciò alla luce dei 40 milioni di tagli lineari subiti quest’anno”, ha aggiunto il manager.
ACEA: “ROMA PUO’ COSTITUIRE OPPORTUNITA’” – Va detto che in Acea hanno sempre negato qualsiasi voglia di immischiarsi nella partita dei rifiuti in città, sebbene la parte in cui sarebbe chiamata in causa sarebbe altamente redditizia. Ma attenzione. Nel piano industriale 2018-2022, è indicato, fra gli obiettivi di Acea Ambiente, il passaggio da 1.000.000 a 1.700.000 tonnellate di rifiuti trattati, una cifra considerevole. La multiutility, che possiede già un inceneritore a San Vittore (in provincia di Frosinone) e alcuni impianti in Umbria, contattata da IlFattoQuotidiano.it ha risposto che questo aumento di produzione avverrà “in parte attraverso ampliamento di impianti, in parte per nuove realizzazioni da green field, ed infine da nuove acquisizioni”. Dunque, quale potrebbe essere il mercato di riferimento? “Sono stati individuati mercati interessanti per la crescita principalmente a livello locale nei territori in cui siamo presenti, come Lazio, Umbria, Toscana e Valle d’Aosta. In questo ambito anche il bacino di Roma può costituire un’opportunità”. Niente inceneritori, però, perché “solo la parte organica, la Forsu, per il momento potrebbe rientrare nelle logiche di mercato che hanno previsto l’espansione degli impianti di Acea in questo specifico settore”. Ma attenzione: “Pregiudiziale fondamentale è che i rapporti tra Acea e altre aziende a capitale pubblico debbano necessariamente essere definiti con riferimento a bandi di evidenza pubblica. Qualunque tipo di ragionamento non può prescindere da queste considerazioni di base”.