Gradualmente gli aggiornamenti sono diventati sempre più rari, un silenzio che è diventato definitivo il 21 gennaio, quando le autorità kenyote hanno fatto sapere che, secondo le informazioni in loro possesso, la ragazza sarebbe ancora viva e all’interno dei confini nazionali. Adesso, massimo riserbo e contatti giornalieri tra l’Italia e il Kenya
Sono passati più di cento giorni da quando Silvia Romano è stata sequestrata nel villaggio di Chakama, in Kenya. Cento giorni durante i quali si sono susseguite dichiarazioni ottimistiche da parte delle autorità locali impegnate nelle ricerche, annunci, smentite e, infine, il silenzio. È più di un mese, ormai, che della 23enne impegnata con la ong Africa Milele in un progetto di sostegno all’infanzia non si hanno più notizie, dopo i continui annunci e i costanti aggiornamenti delle prime settimane. L’ultimo è datato 21 gennaio, quando la polizia kenyota ha fatto sapere di credere che la cooperante si trovi ancora nel Paese, nascosta nella foresta nella contea di Tana River, e che i rapitori non siano riusciti a oltrepassare il confine con la Somalia, il che avrebbe complicato notevolmente le ricerche e aumentato le possibilità di uno scambio con i terroristi islamisti di al-Shabaab. Bocche cucite e nessun aggiornamento dalla Farnesina che ha deciso di mantenere “il più stretto riserbo sulla vicenda nell’esclusivo interesse della connazionale”.
Nei giorni immediatamente seguenti al rapimento, i continui aggiornamenti provenienti dalle autorità del Kenya avevano fatto pensare a una vicenda che si sarebbe risolta con una rapida liberazione. Il giorno successivo, la polizia aveva già fermato 14 persone denunciate dalla popolazione locale: nessuna di loro avrebbe preso parte al rapimento, hanno poi spiegato, ma tra queste potevano esserci dei complici dei tre rapitori di cui la polizia ha anche diffuso le foto, promettendo una ricompensa per chiunque desse informazioni utili a rintracciarli. Nelle settimane seguenti è poi aumentato il numero degli arrestati, tra i quali c’erano anche parenti di alcuni responsabili e uno dei sospettati. Fermi sbandierati dalle forze di sicurezza locali come successi che avrebbero portato presto alla soluzione del caso e alla liberazione della cooperante italiana. Dalle bocche di queste persone, però, non sembrano essere uscite informazioni utili al ritrovamento di Silvia Romano, nonostante il quotidiano locale Daily Nation abbia scritto, a fine dicembre, che secondo la polizia i fermati avrebbero “rivelato informazioni vitali”.
Gradualmente gli aggiornamenti sono diventati sempre più rari, un silenzio che è diventato definitivo il 21 gennaio, quando le autorità kenyote hanno fatto sapere che, secondo le informazioni in loro possesso, la ragazza sarebbe ancora viva e all’interno dei confini nazionali. Adesso, massimo riserbo e contatti giornalieri tra l’Italia e il Kenya. Italia che avrebbe sul terreno, secondo alcune indiscrezioni, anche alcuni agenti del Ros dei Carabinieri e dei servizi segreti.
La strategia del silenzio, tipica dei casi di sequestro di connazionali all’estero e utile a mantenere i contatti con i rapitori e intavolare delle trattative per la liberazione, in questo caso solleva dei dubbi visto che, in una prima fase, le autorità locali non si sono fatte problemi a condividere i risultati ottenuti. È difficile capire, ad esempio, se la mancanza di aggiornamenti sia dovuta a delle trattative già avviate con i rapitori o alle difficoltà nel reperire nuove informazioni utili all’inchiesta. Da Nairobi, le indiscrezioni secondo cui le indagini sarebbero giunte a una fase di stallo si fanno sempre più insistenti, ma nessuna conferma o smentita ufficiale arriva dai due governi coinvolti: Italia e Kenya, adesso, hanno scelto la strategia del silenzio.