Alla vigilia del verdetto della Corte Costituzionale sulla legittimità della trasformazione dell'ente in associazione privata Francesco Rocca rivendica l'operato e i risultati di gestione. "Certo che ci sono dei problemi ma la gestione ha conseguito risparmi e abbiamo garantito indipendenza"
“Con 60 milioni facciamo quello che prima facevano con 200, questo è fondamentale. Che l’operazione abbia lasciato anche scontento e problemi aperti è certo, ma non si può prescindere da questo dato che rivendico”. Francesco Rocca è l’uomo che ha traghettato la Croce Rossa dall’ente pubblico al nuovo soggetto privato, trasformazione sulla quale domani dirà la sua la Corte Costituzionale verificando che non sia stata eseguita con un “eccesso di delega” rispetto al mandato ricevuto nel 2012 dal Parlamento. La questione viene sollevata da dipendenti del corpo militare e va dritto al cuore delle questioni sorte e non esaurite dalla riforma. Rocca, il cui mandato scade tra un anno, si dice sereno rispetto all’appuntamento perché “ci sono altri precedenti di privatizzazione fatta con decreto legislativo, quindi fatta dal governo su mandato del Parlamento. Ma sarà la Corte a valutare. Sotto il profilo del merito ritengo doveroso quanto avvenuto”. Sotto il profilo economico pure, perché – a suo dire – “il saldo complessivo dell’operazione per la pa è stato positivo, soprattutto grazie alla mobilità del personale che è andata a coprire vuoti organici di altre amministrazioni che non hanno dovuto assumere: la Croce Rossa ante privatizzazione costava 200 milioni di euro l’anno allo Stato. Oggi ne costa 60, poi ci sono dei problemi certamente. Ma fate il conto di quanto valgono in 10 anni questi 140 milioni risparmiati ogni anno”.
Privatizzazione riuscita, sostiene, anche sotto il profilo dell’organizzazione. “Ne approfitto per ricordare che l’obiettivo non era solo di risparmio ed efficienza ma anche di compiuta indipendenza e neutralità dell’associazione di volontariato rispetto allo Stato, cioé che non sia più sotto il controllo dello Stato con la possibilità di commissariamento. Allo stesso tempo col controllo doveroso dello Stato esercitato con la Corte dei Conti e con la presenza di un Ragioniere dello Stato all’interno del collegio dei revisori dei conti”. E non è contraddetta dal fatto che la nuova Cri riceva ancora fior di soldi pubblici? “La questione non è figlia di un pasticcio o di un imbroglio. Non siamo un’associazione come altre, nasciamo sotto l’egida della convenzione di Ginevra, come in tutto il mondo gli Stati sottoscrittori delle convenzioni si impegnano a sostenere le croci rosse per le funzioni previste dalle convenzioni e dai trattati. C’è un contratto di servizio con lo Stato, noi ci impegniamo a garantire servizi particolari dall’ambito della Protezione Civile in cui siamo struttura operativa nazionale insostituibile di difesa civile del Paese laddove viene dichiarato uno stato di emergenza, ai ruoli di ausiliarità a forze Armate e diffusione del diritto umanitario. Sono compiti istituzionali che l’Italia ha ratificato in accordo a livello internazionale”.
Tra i vizi insuperabili della riforma, l’irrisolta questione dei tfr dei lavoratori ostaggio della lite tra CRI e Inps. “Viene raccontata una storia che non è del tutto vera, a volte per nulla. Il problema nasce dal fatto che per effetto della legge si è proceduto ad una operazione di mobilità straordinaria che ha riguardato oltre duemila persone. Il legislatore sapeva benissimo che non c’era la liquidità cash e ha previsto, per legge e non perché lo ha deciso Rocca, di trasferire il patrimonio immobiliare all’Inps a copertura di quelle liquidazioni. L’Inps lo ha rifiutato e questa empasse, che nasce da un problema giuridico e normativo, sta generando molti problemi ai dipendenti dei quali mi dispiaccio molto, ma non ho il potere di risolverli; posto che l’Avvocatura dello Stato la pensa come noi e che siamo anche noi sottoposti al vaglio della Corte dei Conti, per cui dobbiamo rispondere alle indicazioni che ci arrivano dagli organi di indirizzo e controllo. Io spero in una soluzione, nel frattempo il patrimonio che deve essere liquidato dall’ente strumentale è a disposizione dell’istituto previdenziale”.
E quei nuovi assunti quando l’ente ha mandato in mobilità migliaia di persone? “Abbiamo messo in mobilità 2mila persone e ne abbiamo assunte 340. Erano dipendenti pubblici cui è stata offerta l’opzione di rimanere dentro la Cri, era una loro scelta, portandosi dietro lo stipendio quindi senza pregiudizio rispetto al trattamento economico. Molti hanno preferito andare fuori dalla Cri in altre amministrazioni. Fatto questo, a quel punto di questi 340 circa 170 sono impegnati nei ruoli dell’emergenza cioé nei centri che abbiamo per garantire la pronta risposta insieme al volontariato (fanno manutenzione mezzi e attrezzature) quando andiamo sul luogo dell’emergenza. Avevamo un’età media molto alta”.
Rocca torna sul tema dei risparmi. “Gli usciti sono andati a coprire posti che erano in organico, e loro hanno mantenuto i livelli stipendiali. Il risparmio dello Stato è che 300 persone della Cri sono andate al ministro della Giustizia ora sono pagati non coi fondi della Cri ma con quelli già previsti per assumere 300 persone. Non sono andati fuori ruolo, sono andati a coprire le vacanze in organico. Questo è stato il lavoro con la funzione pubblica. Questo modo di fare risparmio non è stato capito. Se devo bandire un concorso per mille persone nella pa sono 1000 stipendi nuovi che metto in carico alla Pa, se io non faccio il concorso perché impiego i 1000 che arrivano dall’ente privato cmq quella spesa già ce l’aveva ma sono una spesa risparmiata dall’altra parte”.
Ha collaborato Fiorina Capozzi