C’è un grande entusiasmo per le primarie del Pd per l’idea – condivisibile – che quando tanta gente vota è comunque una buona notizia. Vero, ma le buone notizie finiscono qua. E non lo dico certo per pregiudizio, visto che in coda al gazebo con la tessera elettorale e i due euro mi ci sono messo anche io.

ZERO SORPRESE. Nessuna ma proprio nessuna delle tante primarie del Pd ha mai avuto un risultato in bilico e un vincitore sorprendente, tipo Barack Obama contro Hillary Clinton nel 2008. La dinamica è puramente plebiscitaria, gli elettori sono chiamati a ratificare una decisione già presa dall’oligarchia – sempre la stessa – che controlla il partito. L’unica notizia del voto di domenica, infatti, è l’affluenza che offre solidità alla presa di Nicola Zingaretti sul partito e ridimensiona Matteo Renzi, visto che il suo candidato Roberto Giachetti ha ottenuto un pessimo risultato. L’epurazione degli elementi renziani può cominciare senza timori. Agli elettori del Pd viene sempre richiesto di andare a votare per sancire il cambio di gruppo dirigente al comando. Ma niente di più. Gli elettori (noi elettori) del Pd non hanno (abbiamo) mai potuto davvero scegliere il segretario o il candidato premier.

CONTENUTO. Ma sulla base di cosa hanno (abbiamo) votato? Non si sa. Il tema di fondo è la possibilità del Pd di allearsi, in prospettiva, con il Movimento Cinque Stelle. Ma questo argomento non è mai stato discusso e non so quando elettori avevano chiaro il posizionamento dei tre sul punto, quando hanno messo la loro croce al gazebo: Zingaretti (favorevole), Martina (tiepido), Giachetti (contrario). Di certo i pochi che hanno votato Zingaretti perché era quello più aperto alla costruzione di un nuovo centrosinistra che inglobi i Cinque Stelle saranno rimasti spiazzati dalla sua prima mossa: andare in Piemonte a schierarsi con Sergio Chiamparino e la Confindustria a favore del Tav. È davvero questa la priorità del Pd? E la discontinuità col passato rendiamo, quello che ha portato il Pd al 18 per cento, è già finita? L’orizzonte di Zingaretti sono le Regionali in Piemonte. Poi ci si penserà…

LE IDEE. Ma Zingaretti che partito vuole? Nei suoi rari tentativi di indicare un programma del suo Pd, il neo-segretario non ha dato alcun indizio utile, nessuna posizione intelligibile. Non vuole togliere gli 80 euro, è contrario ma non troppo al reddito di cittadinanza, vuole la crescita e gli investimenti pubblici (chi non li vuole?), ma – per esempio –  si oppone al Ceta, il trattato con di libero scambio con il Canada. Possibile che per capire le idee del nuovo leader del Pd serva una caccia al tesoro negli archivi e lui non abbia sentito il bisogno di presentare un approccio organizzo al partito e al Paese, casomai gli capitasse di governarlo?

VOTO IDENTITARIO. Si dice, giustamente, che quello delle primarie è stato un voto identitario. Ma quale identità viene rivendicata? Quasi impossibile stabilirlo. A vedere la grande piazza di Milano di sabato – non tutti elettori del Pd, ma sicuramente un bacino cui il Pd deve parlare – sembra di capire che la questione migranti è diventata una bandiera nella vasta area di centrosinistra. Non per gli immigrati in quanto tali, ma perché chi stava in quella piazza auspica un modello di società aperta e cosmopolita contro quella spaventata, chiusa a riccio e violenta che rivendica la Lega di Matteo Salvini. Il partito di Zingaretti vuole provare a esportare quel tipo di sensibilità e di società oltre la Ztl di Milano? Oppure preferisce competere con i Cinque Stelle nell’offrire protezione ai più deboli, quelli che si sentono minacciati dall’arrivo degli immigrati e che nel cosmopolitismo delle élite anglofone ed europeiste vedono solo un pericolo? Non lo sappiamo, ma lo capiremo. Forse.

FIDUCIA. Di sicuro c’è una domanda di partecipazione, visto che nonostante tutto il numero di partecipanti a queste primarie (1,7 milioni) è stato in linea con quello del 2017 (1,8 milioni), nonostante il record negativo nei sondaggi rispetto agli anni passati. Ma gli elettori vogliono avere l’illusione che il loro voto conti. E il Pd questa illusione la offre sempre meno. Se non cambia qualcosa, prima o poi, questa domanda di coinvolgimento da parte degli elettori verrà indirizzata altrove. Basta ricordare che nelle primarie del Pd del 2012 (Renzi vs Bersani) hanno votato 3,2 milioni di persone e due mesi dopo i Cinque Stelle hanno registrato il loro primo boom, con 8,7 milioni di voti.

Le primarie sono una dichiarazione di fiducia. Se questa viene tradita, la sentenza arriva in tempi rapidi e senza attenuanti.

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