Uno dei casi più eclatanti di incuria (ad essere benevoli) nei confronti dell’ambiente da parte della pubblica amministrazione è sicuramente la non ancora conclusa vicenda della superstrada Orte-Civitavecchia, di cui mi sono già occupato in un precedente post.
E se me ne occupo nuovamente oggi è perché c’è un’importante novità. Ma prima riassumiamo la storia.
Data agli anni Sessanta dello scorso secolo il progetto dell’Anas per unire con una superstrada il polo siderurgico di Terni con il porto di Civitavecchia. Attualmente è ancora incompiuto il tratto che va da Orte al porto laziale, circa un terzo del percorso. Di questo terzo, la tratta finale, la più problematica dal punto di vista ambientale, è quella che corre da Monte Romano a Tarquinia. Nel 2004 l’Anas presentò un progetto (tracciato viola), approvato dal Ministero dell’Ambiente che rilasciò pronuncia di compatibilità ambientale favorevole, transitante in buona parte in galleria. Nel 2007 la stessa Anas inoltrò il progetto al Cipe per il finanziamento. Il Cipe, con deliberazione n. 11/2011, approvò con prescrizioni il progetto definitivo.
Dopodiché l’Anas non ne fece nulla e, del tutto inaspettatamente, quattro anni dopo, richiese l’avvio della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale relativamente ad un tracciato del tutto alternativo rispetto a quello già approvato. Questo sul presupposto che “gli elevati costi di realizzazione non hanno ad oggi consentito il completamento di questo importante itinerario strategico; Anas ha quindi deciso di studiare ulteriori soluzioni progettuali di maggiore fattibilità economica e finanziaria”. In pratica, secondo l’Anas il tracciato viola costava troppo.
Un altro percorso, quindi, definito “tracciato verde”, che di verde non ha proprio nulla: un’arteria di 18 chilometri, che prevedeva 9 viadotti, 1 galleria e 2 svincoli, localizzato nella vallata del fiume Mignone, una delle aree più incontaminate e ricche di bellezza del Centro Italia, tutelata dalla direttiva Habitat, volta alla conservazione degli habitat naturali di particolare pregio nel territorio europeo.
Peccato che in data 20 gennaio 2017, con parere n. 2289, la Commissione Tecnica di Verifica dell’impatto Ambientale – VIA e VAS presso il Ministero dell’Ambiente, esprimesse parere negativo sulla compatibilità ambientale di tale progetto.
In data 31 maggio 2017, su richiesta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, la Presidenza del Consiglio dei Ministri chiese allora al Ministero dell’Ambiente di fornire le valutazioni di impatto ambientale, consistenti nelle eventuali misure di compensazione e mitigazione, utili ad una piena valutazione anche del tracciato verde. In riscontro a tale decreto, la Commissione VIA adottò il parere n. 2453 datato 7 luglio 2017 con il quale essa si esprimeva nuovamente in senso negativo nei confronti del tracciato verde “in quanto gli impatti ambientali che si configurano dall’analisi della documentazione fornita sono tali da non poter essere mitigati o compensati”.
Nonostante ciò, nella riunione del 1° dicembre 2017, il Consiglio dei Ministri adotta la delibera con la quale incredibilmente approva “il provvedimento di compatibilità ambientale del progetto preliminare tracciato verde della strada statale n. 675 Umbro-Laziale, asse Orte-Civitavecchia, tratta Monte Romano est – SS1 Aurelia”. E questo, come abbiamo visto, nonostante il ripetuto parere negativo del Ministero dell’Ambiente.
A questo punto, le associazioni ambientaliste WWF Italia, Lega Italiana Protezione Uccelli Gruppo di Intervento Giuridico, Italia Nostra, Forum Ambientalista unitamente ad alcuni privati cittadini impugnano tale delibera innanzi al Tar Lazio il quale riteneva di decidere immediatamente nel merito la controversia. I ricorrenti, prima della decisione, impugnano la delibera del Cipe del 28 febbraio 2018 nel frattempo adottata, relativa all’approvazione con prescrizioni del progetto preliminare del “tracciato verde”.
Nel mese di gennaio 2019, il Tar ha deciso di rimettere gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, chiedendo che si pronunci circa la compatibilità della procedura di approvazione dell’opera con la normativa comunitaria. In pratica, senza entrare nei particolari tecnico-giuridici, i giudici amministrativi sollevano il dubbio che sia legittimo e compatibile con la normativa europea che uno Stato faccia prevalere il “rilevante interesse pubblico” di un’opera rispetto ai danni certi che quest’opera arreca all’ambiente, specie quando questo rilevante interesse pubblico è semplicemente di carattere economico. E se sia altresì compatibile sempre con la normativa europea demandare alla fase realizzativa dell’opera gli interventi di compatibilità ambientale demandandoli ad un soggetto diverso rispetto a quello competente (la Regione Lazio anziché il Ministero dell’Ambiente), anche perché quello competente ha più volte ribadito che l’opera così com’è, su questo tracciato, con l’ambiente è incompatibile.
Concludiamo pure come abbiamo esordito: questa vicenda denuncia chiaramente come ai nostri governanti (era il Governo Gentiloni, ma anche quello attuale sta ragionando in termini di soli costi per quanto riguarda le opere pubbliche) dell’ambiente non freghi nulla. Non riescono neppure a capire che i danni all’ambiente, spesso irrimediabili, hanno un costo, talvolta non immediato ma ce l’hanno, ed esso si riflette su tutta la comunità. Vediamo cosa dirà l’Europa.