Il pg Pier Luigi Maria Dell’Osso ha avocato l’inchiesta sulla 25enne d'origine italiana morta lo scorso aprile. E ha iscritto nel registro degli indagati degli indagati il padre, Ghulam Mustafa Cheema, lo zio Mazhar Cheema e il fratello Adnan. Erano stati assolti poche settimane fa dal dal tribunale pakistano di Gujarat dall'accusa di aver ucciso la ragazza che aveva rifiutato il matrimonio combinato
I parenti di Sana Cheema sono indagati per omicidio pluriaggravato. La storia della ragazza morta in Pakistan, dopo rifiutato il matrimonio combinato, potrebbe avere degli sviluppi giudiziari in Italia. Il procuratore generale di Brescia, Pier Luigi Maria Dell’Osso, ha avocato a sé l’inchiesta sulla 25enne d’origine italiana morta lo scorso aprile. E ha iscritto nel registro degli indagati degli indagati il padre, Ghulam Mustafa Cheema, lo zio Mazhar Cheema e il fratello Adnan con l’accusa di omicidio. I tre erano stati arrestati, processati e scagionati da ogni accusa dal tribunale pakistano di Gujarat solo alcune settimane fa. Furono scagionati anche altri otto parenti di Sana, tra cui la madre, che erano stati solo indagati.
La Procura di Brescia aveva aperto un fascicolo a modello 45 sulla vicenda: era cioè senza indagati e senza ipotesi di reato. Sana infatti era cittadina italiana e anche il padre possiede la cittadinanza del nostro Paese. Per questo motivo il pg Dell’Osso ha deciso di procedere: la vittima è italiana e uno dei presunti assassini pure. Adesso bisognerà capire che iter deciderà seguire la procura generale visto che il reato è stato comunque commesso all’estero: il fascicolo passerà comunque a Roma per competenza? O sarà il pg lombardo a continuare gli accertamenti investigativi?
Di sicuro inquirenti ascolteranno gli amici bresciani della giovane, che viveva nel quartiere Fiumicello dove aveva aperto anche un’agenzia per pratiche automobilistiche. Sarà sentito anche il ragazzo, anche lui italiano di seconda generazione, che aveva una relazione con Sana che per lui aveva detto no al matrimonio che la famiglia aveva pensato per lei. Dell’Osso ha seguito tutta la vicenda processuale mantenendosi in contatto con l’ambasciata italiana a Islamabad. Il procuratore generale ha ricevuto la sentenza che ha scagionato i parenti di Sana dall’accusa di omicidio e anche l’autopsia che segnalava come sul corpo della giovane fossero stati rinvenuti segni di strangolamento. Ciò nonostante i parenti erano stati assolti per “mancanza di prove certe“. Durante le indagini, i tre familiari confessarono di aver ucciso Sana perché aveva “disonorato” la famiglia. Confessione poi ritrattata.
La ragazza si trovava in patria per un breve soggiorno. Il 19 aprile sarebbe dovuta tornare a Brescia, ma era morta poche ore prima di imbarcarsi sull’aereo. Il 10 maggio 2018, all’indomani dell’autopsia che aveva certificato che la morte era avvenuta a causa della rottura dell’osso del collo, suo padre aveva confessato: “Con me c’era mio figlio“, aveva detto. Il giorno successivo era arrivata la ritrattazione: “Non e’ vero che abbiamo confessato – aveva detto in un’intervista a La Repubblica– Se il referto dei medici legali dice che Sana aveva l’osso del collo rotto è perché deve aver battuto la testa contro il bordo del letto o il divano”.
Dopo l’assoluzione in Pakistan dei parenti di Sana, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva chiesto alle autorità pakistane che sia fatta giustizia: “La morte della giovane Sana ha scosso dal profondo il nostro Paese”, si leggeva in una lettera inviata dal premier al suo omologo pakistano. “Per questo motivo ho inviato una lettera al primo ministro pakistano, per testimoniare l’auspicio del governo italiano affinché venga fatta luce al più presto sulle responsabilità del brutale assassinio”. Venerdì 15 febbraio, dopo la diffusione della notizia dell’assoluzione, parte della politica italiana aveva chiesto la mobilitazione del governo. In Italia non esiste una legge contro le nozze forzate e il ddl giace dimenticato al Senato.