"Qui si rischia una messa in crisi del sistema dei valori”, avvertiva l’ex presidente dell’Antimafia regionale Lillo Speziale nei giorni in cui Davide Faraone, il viceré di Renzi sull'isola, imbarcava nei dem nuovi personaggi. Tra questi c'era pure lui: uno dei volti del Trapanese, un vero e proprio globetrotter dell’arco costituzionale, dai socialisti a Cuffaro. Fino, appunto, al Partito democratico. Ecco la sua storia politica e giudiziaria
Non era esattamente un politico al di sopra di ogni sospetto. Tutt’altro. E non tanto per il certificato penale che ancora oggi è illibato. A pesare su Paolo Ruggirello era soprattutto una storia ingombrante, fatta di sospetti, ombre e arricchimenti talmente veloci da finire persino al centro di interrogazioni parlamentari. È la storia della sua famiglia, una vera e propria dinasty di provincia che si sviluppa in un territorio difficile e pericoloso come la provincia di Trapani: terra di mafia, misteri e massoneria. Una storia che già dieci anni fa i giornali locali mettevano in prima pagina con un titolo eloquente (“Ombre sui Ruggirello”) e che torna d’attualità adesso che il politico del Pd è finito agli arresti con l’accusa di associazione mafiosa.
“Solo oggi ci si accorge di chi sia Paolo Ruggirello? A Trapani tutti sapevano che il suo consenso elettorale era basato su prassi che, seppure non rilevanti dal punto di vista penale, dovevano essere considerate moralmente incompatibili con la politica”, dice per esempio Erasmo Palazzotto. A dare ragione al deputato di Leu è anche il gip Piergiorgio Morosini, che in più di cinquecento pagine di ordinanza ci ha tenuto a sottolineare come “Ruggirello, in linea con la sua storia, non ha esitato a incontrare soggetti appartenenti all’organizzazione criminale per ottenere sostegno elettorale“. In linea con la sua storia vuol dire essenzialmente che le accuse contestate oggi dalla procura di Palermo non sono legate a episodi recenti e isolati. Nelle carte dell’inchiesta, infatti, si mettono in fila “tutti i rapporti accertati tra il politico e diverse famiglie mafiose della Provincia di Trapani, dal 2006 fino alle ultime elezioni”. In pratica per gli inquirenti i rapporti di Ruggirello con i boss risalgono almeno a tredici anni fa: ben prima che il deputato venisse accolto in pompa magna nel Pd, il partito che un tempo in Sicilia aveva il volto di Pio La Torre. “Qui si rischia una messa in crisi del sistema dei valori: quest’operazione può avere le caratteristiche di un mercimonio”, avvertiva l’ex presidente dell’Antimafia regionale Lillo Speziale nei giorni in cui Davide Faraone, il viceré di Matteo Renzi sull’isola, varava la campagna acquisti dei dem. Le porte del partito erano state aperte, anzi spalancate, a una serie di ex seguaci di Totò Cuffaro, di Raffaele Lombardo, di Silvio Berlusconi. Personaggi con una storia molto diversa da quella di La Torre, ma imbottiti di voti e dunque imbarcati senza troppi problemi.
Tra questi c’era pure lui: Ruggirello, il ras delle preferenze del Trapanese, un vero e proprio globetrotter dell’arco costituzionale. In politica aveva esordito come assistente di Bartolo Pellegrino, deputato socialista, vicepresidente della Regione con Cuffaro, l’ex governatore che ha scontato cinque anni per favoreggiamento alla mafia. Anche Pellegrino ha avuto i suoi guai: arrestato e poi assolto per concorso esterno a Cosa Nostra, divenne celebre per aver definito “infame” un personaggio che aveva parlato con i carabinieri (a loro volta etichettati come “sbirri“). Vicino a Pellegrino era il padre di Ruggirello, il ragionier Giuseppe, capostipite della famiglia. Aveva cominciato negli anni ’60 con una piccola azienda edile che evidentemente gli deve aver fruttato una fortuna. E infatti negli anni ’70 si era addirittura comprato una banca: si chiamava Banca Industriale, e in pochi anni era passata da uno a sedici sportelli, coprendo ben tre province. Ruggirello senior diventa ricco molto velocemente. Troppo velocemente. Talmente tanto da meritare addirittura un’interrogazione parlamentare sull’origine del suo successo economico. “Si chiede di conoscere a quale improvvisa fortuna si debba l’arricchimento del ragioniere Giuseppe Ruggirello”, scrivevano nel 1972 i deputati del Msi Franchi, Nicosia e Marino. Interrogazione che rimarrà lettera morta, mentre Ruggirello senior fa il grande salto a Roma. Dove la guardia di finanza lo cita nel rapporto Colosseo Connection, quello su Enrico Nicoletti, cassiere della banda della Magliana: “Nel settore bancario – scrivono gli inquirenti – sono in corso indagini su un soggetto (Giuseppe Ruggirello) sospettato di collegamenti con esponenti vicini alla mafia, il quale starebbe per rilevare o avrebbe già rilevato una considerevole partecipazione in un Istituto di credito romano. Il soggetto, tramite tre società finanziarie, è presente sulla piazza di Roma e opera nel settore mobiliare e immobiliare impiegando ingenti capitali”.
Quell’inchiesta segna la fine degli affari romani della famiglia. Ruggirello senior torna in Sicilia, dove muore all’improvviso nel 1995. I figli Paolo e Bice si spartiscono l’eredità: il primo entra in politica, la seconda si occupa degli affari. Nel 2008 Ruggirello entra per la prima volta all’Assemblea regionale siciliana con il Movimento per l’Autonomia di Lombardo, poi eletto governatore. Per cinque anni si era detto un autonomista convinto, facendosi segnalare soprattutto perché aveva proposto un maxi condono: una legge per sanare tutte le case entro i 150 metri dal mare. Lui stesso ne possedeva una (poi abbattuta), ma ciò non bastò a far approvare quella legge. Poi nel 2012 Lombardo era stato inquisito per mafia e si era dimesso. Ruggirello, quindi, era saltato sul carro di Nello Musumeci, il candidato di destra sconfitto da Rosario Crocetta. Costretto all’opposizione, Ruggirello aveva subito tentato ad avvicinarsi al centrosinistra: prima confluendo in Articolo 4, una lista fai-da-te di centro. Poi nel 2015 era entrato direttamente nel Pd.
Tra i dem, i renziani lo avevano accolto calorosamente: i voti di Ruggirello e degli altri ras locali erano troppo importanti in vista del referendum costituzionale. E infatti, lo stesso Renzi aveva messo la faccia sugli ultimi acquisti del fido Faraone, recentemente promosso segretario del Pd siciliano. Era il 21 ottobre del 2016 e a Palermo l’allora presidente del consiglio posava volentieri per una foto ricordo con Ruggirello, Valeria Sudano (ex Udc, considerata da Cuffaro come una “sua amica“, poi promossa al Senato) e Luca Sammartino, capace di collezionare 32mila preferenze alle ultime regionali. Qualche giorno dopo anche Ruggirello era stato invitato alla Leopolda di Firenze. Un’occasione che per il gip “rappresentava la piena legittimazione al Partito democratico dell’onorevole Ruggirello e del suo gruppo politico all’Ars, oltre che in ambito regionale anche in ambito nazionale“. E infatti Ruggirello era stato subito ricandidato in Regione e poi promosso con un collegio uninominale al Senato, senza tuttavia riuscire a essere eletto in nessuna delle due elezioni. “Sono garantista, ma mi sarei aspettato che qualcuno tra i tanti generali senza esercito che si ritiene dirigente del Pd, avesse prudentemente sospeso Ruggirello dal partito”, dice Antonello Cracolici, uno dei leader siciliani dei dem. Dal partito assicurano: “Ruggirello non è iscritto da due anni e pertanto non può essere sospeso”. Eppure era l’uomo di bandiera del Pd in Sicilia occidentale. Secondo la procura con il sostegno dei boss.