Risale al 1964, come abbiamo già evidenziato altrove, l’appello del musicologo Alberto Mantelli lanciato dalle pagine de L’Approdo musicale per far sì che Storia della musica – disciplina, al pari di Storia dell’arte, fortemente caratterizzante il patrimonio culturale e identitario italiano – fosse inserita nel piano di studi dei nostri licei. Mai nessun politico però aveva prestato ascolto alle richieste di coloro che, dotati di semplice buon senso e di un pizzico di consapevolezza storica, si facevano promotori di questa istanza, voci spesso isolate e fuori dal coro ma determinate, almeno nel nostro caso, a far sì che qualcosa finalmente si mettesse in moto.
Perciò, solo e senza alcuna istituzione a darmi manforte, ho dedicato negli ultimi cinque anni all’argomento una quantità non indifferente di articoli, rivolgendo i miei appelli di volta in volta ai vari ministri che si sono succeduti alla guida del Miur. Inoltre, ho lanciato una petizione che ha raccolto in poco tempo più di 3mila sottoscrizioni.
Infine, con le stesse parole precedentemente rivolte alle ex ministre Stefania Giannini e Valeria Fedeli, ho creduto fosse importante porre al centro del dibattito pubblico quanto segue: “Chiunque in Italia e nel mondo intero ha sentito parlare di giganti quali Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini, Antonio Vivaldi, Gioachino Rossini e Nicolò Paganini, per non continuare con la lunghissima lista di geni musicali nostrani. Chiunque ha altrettanto potuto sentir dire circa l’Opera lirica italiana, la Sinfonia, il Concerto, il Madrigale e tante altre forme o generi musicali nati e cresciuti, prima di approdare in ogni altro Paese d’Europa e del mondo intero, sulla nostra penisola. Chiunque sa bene come ancora oggi qualsiasi nuova composizione, che venga scritta a Tokyo, New York, Londra o Berlino, adotta la nomenclatura italiana: allegro, moderato, andante, largo, staccato, legato, pizzicato, crescendo e diminuendo sono solo alcune delle tantissime indicazioni che, tuttora, vengono indicate, in qualsiasi angolo del nostro pianeta, in lingua italiana, forti dell’incredibile tradizione musicale di cui il nostro Paese, senza possibili paragoni al mondo, può certamente far sfoggio. Chiunque conosce infine, per non proseguire oltre nonostante la lista sia veramente lunga, strumenti quali il violino, la viola, il violoncello, il contrabbasso, il pianoforte e tanti altri che, grazie ad antiche tradizioni di liuteria italiana, sono nati nel nostro Paese e da qui hanno poi conquistato i palchi di tutto il pianeta”.
Grande è stata dunque la mia soddisfazione, nonché la sorpresa, quando lo scorso ottobre sono stato contattato da Michele Nitti, deputato pentastellato che, dopo aver letto i miei articoli, ha ben pensato di avviare un percorso di confronto finalizzato a una vera e propria proposta di legge, oggi già depositata presso la Camera dei deputati e in attesa del visto degli uffici competenti. Il testo al quale ho felicemente dato il mio contributo e che risponde all’iniziativa – oltre che dello stesso Nitti, della deputata Alessandra Carbonaro – recita dunque quanto segue: “Al fine di rendere fruibile agli studenti le maggiori espressioni della civiltà musicale e di introdurli al patrimonio musicale della storia italiana, europea e internazionale, nonché di avviarli a un ascolto consapevole e di elevare la materia musicale a pilastro fondante della cultura italiana al pari della letteratura e delle arti visive, il governo è delegato ad adottare, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante disposizioni per disciplinare, a partire dal primo anno scolastico utile rispetto all’entrata in vigore del predetto decreto legislativo, l’insegnamento curricolare della Storia della musica nei licei artistici, nel secondo biennio e nel quinto anno dei licei classici, dei licei scientifici, dei licei linguistici e dei licei delle scienze umane, nel secondo biennio e nel quinto anno degli istituti tecnici a indirizzo turistico e degli istituti professionali a indirizzo grafico multimediale”.
Ma andiamo oltre: inserire Storia della musica nei piani di studio di tutti questi istituti superiori significa non solo incidere sulla consapevolezza culturale e identitaria delle nuove generazioni, ma creare nel medio e lungo termine – così come già per le arti visive e assecondando di fatto la più semplice delle leggi di mercato, quella per cui è l’offerta a modificare la domanda – il pubblico necessario a far sì che i nostri enti lirico-sinfonici, i teatri di tradizione e gli auditorium inizino – se non a uscire dalle diffuse e ben note crisi finanziarie – quantomeno a respirare un po’ di più, forti di una partecipazione giovanile finora molto deficitaria. Celebri sono gli interminabili tappeti di teste bianche (ma per fortuna, verrebbe da dire, che ci sono loro!) ogni qualvolta si va ad assistere a un qualsiasi spettacolo lirico, sinfonico e cameristico, laddove cioè le presenze giovanili sono merce rara e quasi sempre dovuta a una formazione musicale specifica.
Auguriamo perciò ai deputati Nitti e Carbonaro che questa proposta possa finalmente sortire gli effetti desiderati, inaugurando così una nuova stagione della formazione culturale e musicale italiana.