"Le case sono costruite per essere abitate, non per speculazione", ha detto il presidente Xi Jinping. Ma gli appartamenti rimasti vuoti sono stimati in 65 milioni, il 22% del totale delle proprietà urbane. A preoccupare è anche lo stato di salute delle società immobiliari, che dopo aver attinto per anni ai prestiti facili oggi si ritrovano seppellite di debiti
“Le case sono costruite per essere abitate, non per speculazione“. Lo ha messo bene in chiaro il presidente cinese Xi Jinping, scandendo le priorità economiche per il quinquennio a venire durante il Diciannovesimo Congresso del partito, nell’autunno 2017: regolamentare il mercato immobiliare continuerà a costituire una priorità per il governo cinese. La guerra commerciale con Washington non basterà a distogliere l’attenzione della leadership comunista dai problemi interni che affossano la crescita cinese. Calo dei consumi e aumento del debito corporate – che oggi si aggira intorno al 160% del Pil nazionale – ma non solo. Secondo gli esperti, è l’immobiliare il vero fattore di rischio per la stabilità del gigante asiatico.
Il problema non è nuovo. Nell’ultimo decennio, il settore immobiliare ha svolto un ruolo fondamentale nella creazione di posti di lavoro, assorbendo il pacchetto di stimoli varato nel 2008 per fronteggiare la crisi internazionale e generando liquidità per i governi locali, che dalla vendita della terra traggono buon parte dei loro introiti. Da allora in Cina si è costruito di tutto e ovunque. I prezzi delle case hanno raggiunto livelli stellari gonfiando quella che secondo molti analisti è una gigantesca bolla immobiliare: con un mercato azionario allora ancora rigidamente regolamentato, al comune cittadino investire nel mattone è parso il modo più rapido e sicuro per mettere al sicuro i propri risparmi.
Fino a quando l’impennata dei prezzi non ha spinto Pechino a ricorrere ai ripari aumentando i costi dei mutui, limitando l’acquisto delle seconde case e arrivando a vagheggiare l’estensione a livello nazionale di una tassa sulla proprietà introdotta in via sperimentale nelle città di Shanghai e Chongqing. L’esperimento non sembra aver funzionato come sperato. Le restrizioni applicate nelle città di prima fascia, quelle dove il rincaro è stato più netto, hanno dirottato la liquidità per fini speculativi verso i centri minori. Quelli su cui il governo punta di più per riequilibrare il baricentro della crescita insostenibile fino a oggi concentrato nelle megalopoli. Al contempo, mentre la regolamentazione del mercato non sembra aver appianato le diseguaglianze sociali (la casa rimane per molti un sogno irraggiungibile), le nuove misure hanno cominciato a disincentivare gli acquisti in svariate zone del paese.
Secondo il China Real Estate Index System, nella prima settimana del 2019 le vendite sono precipitate del 44% in 24 città della Cina. Ma il dato più allarmante arriva dalla Southwestern University of Finance and Economics di Chengdu, dove un team di esperti diretto dall’economista Gan Li pone le stime degli appartamenti rimasti vuoti a quota 65 milioni, pari al 22% del totale delle proprietà urbane. Il valore più alto al mondo. Esemplare il caso della 27enne Natalie Feng che, ricevuta in regalo dai genitori una villa di due piani alle porte di Shanghai “per i weekend”, sostiene di non metterci mai piede e non avere nemmeno il tempo di affittarla.
Considerando che circa il 25% del prodotto interno lordo del paese ruota intorno all’edilizia si capisce come l’instabilità del mattone rischi di complicare ulteriormente il quadro già non roseo dell’economia cinese, scesa ai tassi di crescita degli anni ’90. Tanto che stando a Xiang Songzuo, docente della Rennmin University il real estate è il vero “rinoceronte grigio” (pericoli evidenti ma trascurati) a cui il gigante asiatico dovrà far fronte nel 2019. A preoccupare è anche lo stato di salute delle società immobiliari, che dopo aver attinto per anni ai prestiti facili oggi si ritrovano seppellite di debiti e incapaci di accedere al salvifico “credito ombra“, a cui Pechino ha messo un tappo. Secondo il Nikkei Asian Review, ben quattro sviluppatori immobiliari cinesi si sono visti tagliare il rating a “CCC” sui complessivi 13 valutati da S&P come “junk” in tutta la regione Asia-Pacifico. Certo, non tutti i mali vengono per nuocere. La selezione darwiniana porterà all’estinzione dei carrozzoni, stabilizzando il settore.
I risvolti sociali, tuttavia, sembrano meno rassicuranti. Solo alcuni mesi fa la svalutazione del mattone dovuta alle giacenze ha ispirato rare proteste popolari nel Sud del paese. Secondo Gan, il 47,1% dei mutui in essere sono collegati all’acquisto di proprietà al momento inutilizzate. E, considerando che l’immobiliare rappresenta in media l’80% del patrimonio delle famiglie cinesi, c’è chi rischia di vedere assottigliarsi drasticamente i risparmi di una vita.