“La scelta è stata fatta solo in base al giudizio sulla condotta e per motivi di sicurezza. Per la gita di Napoli avevamo 110 richieste di studenti e soltanto otto docenti. Ne abbiamo scelti 87, non i più bravi e diligenti, ma per motivi di sicurezza i ragazzi più disciplinati”. La professoressa Anna Valsega, dirigente scolastico di una scuola media di Massa, è finita sui giornali. Suo malgrado, dopo essere stata costretta a scegliere. Anche nel suo istituto è stato programmato un viaggio d’istruzione, come è consuetudine, anche se non regola. Insomma una gita scolastica, come la chiamano gli studenti. Il programma, autorizzato dal consiglio d’Istituto, ha previsto tutto. Quasi tutto. La meta, innanzitutto, Napoli, poi la durata, quattro giorni e naturalmente il periodo dell’anno scolastico. Ma non la partecipazione in massa degli alunni e nel contempo, l’adesione degli insegnanti. Elemento, questo, tutt’altro che trascurabile, come si può facilmente immaginare.

Andare fuori con i compagni è importante, per gli studenti. Momenti indimenticabili da vivere insieme. Ma lo è anche per i professori, dal momento che la meta del viaggio è scelta con raziocinio, ricercando il più possibile legami con i programmi svolti. Per questo le “gite” dei ragazzi sono anche, né potrebbe essere altrimenti, “visite di istruzione” dei loro insegnanti. Ma perché il viaggio non deluda nessuno non può prescindere da un prerequisito. Deve essere “sicuro”. Per questo deve essere organizzato nei minimi particolari. A partire dai trasporti utilizzati, passando per l’alloggio, fino agli spostamenti. Non solo. Prima di tutto il numero degli alunni deve essere proporzionato a quello degli insegnanti. Secondo un rapporto di 1 a 15. Altrimenti subentra un rischio che nessuno può assumersi, né i professori accompagnatori né il capo d’istituto. Non è una regola insensata, ma suggerita dal desiderio che sia un “bel momento” per tutti.
Proprio per non far correre alcun rischio a nessuno degli studenti in gita, la preside ha deciso che non potranno andare tutti quelli che avevano aderito. Il criterio prescelto? L’unico in grado di rispettare tutti, il solo possibile. L’affidabilità. Insomma il comportamento.

Naturalmente il discrimen non è piaciuto. Le polemiche che si sono scatenate, preventivabili. “Hanno escluso anche i ragazzi con i disturbi del comportamento”, sostengono i genitori degli esclusi. Può darsi che sia andata così. L’unico dato certo è che è stato scelto di prendere in considerazione il voto di condotta per decidere chi potesse andare e chi no. Già, la svilita condotta è ridiventata protagonista. Dopo che il Miur ha deciso che il voto non dovesse più far media. Dopo che chi governa la scuola ha certificato che la condotta valga poco. Molto poco. Di certo meno di qualsiasi laboratorio pomeridiano.

Quale fosse il criterio da preferire al comportamento i genitori non lo dicono. Forse perché lo sanno anche loro che qualunque altro si fosse scelto sarebbe risultato davvero arbitrario. A differenza della condotta, che non è una materia da insegnare e neppure da studiare, ma spesso fa la differenza. La fa nel corso della consueta vita scolastica regolata da lezioni, ricreazioni e momenti di condivisione. La fa soprattutto in occasione delle uscite giornaliere e, ancora di più, delle visite d’istruzione di più giorni. In questa storia di ordinaria follia della scuola italiana il motivo del contendere è il comportamento. Incredibile ma vero.

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In gita va solo chi ha un buon voto in condotta. La preside: “Pochi professori, abbiamo scelto criterio inoppugnabile”

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