Il 4 febbraio Tito Boeri, il cui mandato era in scadenza, durante l’audizione al Senato sul reddito di cittadinanza aveva messo in fila una serie di criticità: famiglie numerose svantaggiate, rischio che il beneficio vada a nuclei senza i requisiti e debba poi essere chiesto indietro, effetti di scoraggiamento al lavoro a causa del “livello di prestazione elevato”, esclusione di “una fetta importante di poveri dal trattamento” a causa dei requisiti stringenti di residenza. Un mese dopo, in attesa che la nomina a commissario dell’istituto di Pasquale Tridico (“padre” della misura bandiera del Movimento 5 Stelle) sia concretizzata in un decreto che tarda a vedere la luce, in audizione alla Camera ci è andata la direttrice generale Gabriella Di Michele. E i problemi sollevati dall’economista bocconiano sono stati archiviati.

Il testo depositato a Montecitorio dà una valutazione molto positiva della misura e sposa i contenuti della relazione tecnica al “decretone” per quanto riguarda l’impatto positivo su pil potenziale e la creazione di “spazio fiscale aggiuntivo”, ovvero la possibilità di fare più deficit ma rispettando i paletti europei. Inoltre non c’è più traccia della stima sul numero assoluto dei beneficiari: Boeri aveva parlato di 1,3 milioni di nuclei per un totale di 2,4 milioni di persone, un numero molto più basso rispetto ai 5 milioni annunciati dal governo a gennaio. Di Michele ha citato solo il primo dato, quello sui nuclei, ripreso nella relazione tecnica al decreto.

“La misura”, ha detto la Di Michele mercoledì mattina, “avrà un forte impatto, sotto un profilo di politica economica, sia per quanto concerne gli effetti redistributivi della ricchezza delle famiglie italiane per le quali ci si attende una notevole riduzione della povertà e l’aumento dell’inclusione sociale, sia per gli effetti che produrrà in termini di aumento del Prodotto interno lordo potenziale, come stimato dal “Working Group sull’Output gap” della Commissione Ue, e conseguentemente sul deficit strutturale”. Per quanto riguarda l’impatto sulla povertà, il “poverty gap”, che “esprime la distanza media di tutti gli individui presenti nella popolazione dalla soglia di povertà”, “potrebbe essere enormemente ridotto, se non eliminato nel caso in cui la sovrapposizione tra famiglie povere e beneficiari fosse perfetta al 100%”. Nessuna indicazione precisa però sul numero di persone che usciranno dalla condizione di povertà: Di Michele si è limitata a dire che “l’indicatore di povertà assoluta a livello macroeconomico subirà una riduzione indotta dall’aumento di consumi, e dai possibili effetti occupazionali, innescati dal Rdc”.

“L’indice di disuguaglianza del reddito disponibile”, definito come il rapporto tra il reddito equivalente totale del 20 per cento della popolazione con più alto reddito e quello del 20 per cento della popolazione con più basso reddito, è previsto in diminuzione dai 5,9 punti del 2018 a 5,5 nel 2020.

La relazione della direttrice generale riprende poi punto per punto la relazione tecnica che accompagna il decretone per quanto riguarda gli effetti macroeconomici della misura: “L’attuazione del reddito di cittadinanza associata al potenziamento dei centri per l’impiego e agli incentivi per le imprese ed enti di formazione, costituisce una riforma strutturale del mercato del lavoro, e per effetto dello shock sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta di lavoro, fa innalzare il livello della domanda e dei consumi, e il livello partecipazione al mercato del lavoro, con effetti sul PIL potenziale. Infatti, l’afflusso di soggetti “scoraggiati” e di Neet, presso i CPI permetterà di rivedere al rialzo il tasso di partecipazione alla forza lavoro, seppure con un iniziale incremento del numero dei disoccupati, determinando la crescita del pil potenziale e conseguentemente l’ampliamento dell’output gap (differenza tra PIL potenziale e PIL effettivo)”. E questo, come teorizzato da Tridico, “crea uno spazio fiscale aggiuntivo (cd. fiscal stance) che potrà essere utilizzato per aumentare l’occupazione, senza ulteriori aumenti della percentuale del deficit strutturale, oltre la soglia passibile di sanzioni a livello comunitario”.

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