I due ddl fissano rispettivamente a 9 euro lordi e 9 euro netti la retribuzione oraria sotto la quale non si può scendere. L'Italia è uno dei sei Paesi Ue che non hanno un minimo legale. Il testo a prima firma Catalfo punta però a rispondere ai dubbi dei sindacati, da sempre contrari, dichiarando di voler sostenere e non sostituire gli accordi nazionali: i ccnl rimarrebbero il primo punto di riferimento. Quello di Laus, che fu contestato per i bassi salari della sua cooperativa, si limita a fissare la cifra
Se si guardano solo i numeri la distanza non è molta: il ddl del Movimento 5 Stelle depositato nel luglio 2018 a prima firma Nunzia Catalfo, prevede un minimo di 9 euro lordi, da aggiornare ogni anno in base all’inflazione. Quello del Pd, iniziativa dell’ex presidente del Consiglio regionale del Piemonte Mauro Laus, punta a garantire 9 euro netti, escluse le indennità e rimborsi spese, anche questi da rivalutare tenendo conto della variazione dell’indice dei prezzi. Ma è un’altra la principale differenza tra i disegni di legge sul salario minimo orario, su cui lunedì il vicepremier Luigi Di Maio ha invocato una convergenza con il neosegretario dem Nicola Zingaretti (che ha declinato). Il testo M5s – a differenza del primo testo presentato dalla stessa Catalfo nel novembre 2014 – punta dichiaratamente a sostenere la contrattazione collettiva e non sostituirla, nel tentativo evidente di rispondere ai dubbi dei sindacati che sono da sempre contrari al salario minimo orario perché temono faccia venire meno la necessità dei ccnl che oggi coprono la maggior parte dei lavoratori e apra così la strada al dumping salariale. E non è un caso se Di Maio ha convocato Cgil, Cisl e Uil per il prossimo 13 marzo anche per discutere di questo tema. Nel ddl dei dem questa preoccupazione è totalmente assente.
Solo sei Paesi Ue non hanno minimi legali – L’obiettivo dei due ddl è comune: garantire retribuzioni eque – come previsto dalla Costituzione e come richiesto dal Consiglio di Europa – in un Paese in cui quasi il 12% dei lavoratori è a rischio povertà. Peraltro l’Italia è uno dei pochi Paesi europei a non avere un salario minimo legale: 22 Stati membri su 28 lo prevedono. Un rapporto pubblicato lo scorso anno dall’agenzia Ue Eurofound spiega che nella maggior parte dei casi il livello minimo è fissato su base mensile, ma Germania, Gran Bretagna e Irlanda c’è anche un minimo orario rispettivamente a 8,84 euro lordi (9,19 da quest’anno), 7,8 sterline (8,21 da aprile) e 9,55 euro (9,80). In Francia il minimo è 1.498 euro al mese (1.521 da gennaio 2019), in Spagna 858 euro (1.050 da inizio anno).
Il ddl M5s: “Parti sociali sono le autorità salariali più idonee” – La proposta in 5 articoli depositata dalla Catalfo (autrice anche della prima proposta sul reddito di cittadinanza) parte da questi presupposti ma fin dall’introduzione fa anche riferimento alla posizione dei sindacati: ricorda infatti che il 14 gennaio 2016 in un documento congiunto Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto di sancire “l’esigibilità universale dei minimi salariali definiti dai Ccnl, in alternativa all’ipotesi del salario minimo legale, attraverso un intervento legislativo di sostegno, che definisca l’erga omnes dei Ccnl dando attuazione a quanto previsto dall’articolo 39 della Costituzione”. Visto però che “le difficoltà tecniche e politiche” sulla registrazione dei sindacati “che hanno sempre impedito l’attuazione delle regole” dell’articolo 39 “non paiono di rapida soluzione”, i firmatari propongono “un intervento di sostegno alla contrattazione collettiva, e non già sostitutivo di essa, che eviti ogni rischio di effetti prociclici di riduzione salariale“. L’obiettivo esplicito è “sostenere per questa via l’attività di regolazione del mercato del lavoro liberamente compiuta dalle parti sociali, che sono le autorità salariali più idonee allo svolgimento del compito, senza sostituirsi ad essa“.
Il richiamo ai contratti sottoscritti dalle organizzazioni più rappresentative – Di conseguenza il minimo orario viene fissato a 9 euro lordi, ma si specifica che in prima battuta occorre far riferimento al contratto collettivo nazionale in vigore per il settore e la zona in cui si svolge il lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro più rappresentative sul piano nazionale. In presenza di “una pluralità di contratti collettivi applicabili”, alcuni dei quali possono essere meno vantaggiosi per i lavoratori, si stabilisce poi che il trattamento economico “non può essere inferiore a quello previsto per la prestazione di lavoro dedotta in obbligazione dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria stessa“, oltre ovviamente a non poter scendere sotto i 9 euro l’ora.
Il ddl del Pd firmato dal senatore contestato per le paghe basse – Il ddl del Pd porta come prima firma quella di Mauro Laus, eletto senatore alle politiche del 2018 proprio in scia alla promessa di presentare una legge sul salario minimo. Promessa che gli era valsa alcune contestazioni visto che la cooperativa da lui guidata fino al luglio 2014, la Rear pagava i lavoratori meno di 5 euro all’ora. Nel 2012 il regista Ken Loach rifiutò un premio alla carriera del Torino film festival organizzato dal Museo del cinema, che aveva esternalizzato alcuni servizi alla Rear, dopo aver ricevuto la lettera di un lavoratore che lamentava le cattive condizioni retributive. Nel merito, la proposta di Laus (firmata anche, tra gli altri, da Laura Boldrini, Monica Cirinnà e Antonio Misiani) si limita a fissare il salario minimo orario a 9 euro “al netto dei contributi previdenziali e assistenziali” e a specificare che il limite “si applica a tutti i rapporti aventi per oggetto una prestazione lavorativa”. Le organizzazioni sindacali sono citate perché è richiesto il loro accordo per individuare “i contratti di importo inferiore a 9 euro a cui estendere le disposizioni nonché i casi di esclusione” e “le modalità di incremento dei salari di importo superiore al salario minimo orario”. Il testo fissa in un minimo di 5mila e un massimo di 15mila euro la sanzione per i datori di lavoro che sgarrano. Il testo M5s non affronta il tema sanzioni, ma un ddl sullo stesso argomento presentato nel 2014 dalla stessa Catalfo prevedeva esattamente le stesse cifre.