Protagonista del femminismo radicale nella stagione dei movimenti Fluxus e Neo-Dada, il suo lavoro pionieristico si è caratterizzato fin dalla metà degli anni '60 per la ricerca sul corpo e la sessualità, infrangendo molti tabù fin dai suoi primi happening
È morta l’artista statunitense Carolee Schneemann, “regina” della body art, famosa nel mondo per le sue performance, ma che amava definirsi “pittrice”. Nel 2017 era stata insignita del Leone d’Oro alla carriera della 57a Esposizione internazionale d’arte della Biennale di Venezia. La videoartista e performer è morta ieri all’età di 79 anni, come ha riferito la Galerie Lelong di New York che rappresentava Schneemann all’edizione online di ArtNews.
Protagonista del femminismo radicale nella stagione dei movimenti Fluxus e Neo-Dada, il suo lavoro pionieristico si è caratterizzato fin dalla metà degli anni ’60 per la ricerca sul corpo e la sessualità, infrangendo molti tabù fin dai suoi primi happening. Nata a Fox Chase, in Pennsylvania, il 12 ottobre 1939, Schneemann è stata tra le protagoniste più interessanti della Performance Art e della Body Art; mediante l’utilizzo di molteplici mezzi espressivi ha impiegato il proprio corpo nudo come mezzo eversivo e provocatorio, in grado di riscrivere una storia dell’arte al femminile attraverso la rinegoziazione di valori e simbolismi e di porre in primo piano questioni quali la sessualità e le politiche di genere. Il percorso artistico di Schneemann, fortemente vincolato a un campo esperienziale individuale, sradica tabù e convenzioni già dai primi lavori, datati agli inizi degli anni Sessanta, come in “Meat joy” (1964), performance collettiva che assume i toni del dionisiaco, e in “Fuses” (1967), film-collage che ritrae l’artista durante un rapporto sessuale con il suo compagno in immagini di profondo lirismo.
Il corpo come energia e come strumento primordiale viene potentemente riaffermato anche in “Interior scroll” (1975), in cui l’artista estrae dalla vagina – assunta nel suo valore di luogo di conoscenza – una pergamena, fino a debordare in un universo erotico in cui si abbattono anche i vincoli che separano specie diverse, come in “Infinity kisses” (1981-88), serie di 140 fotografie che ritraggono Schneemann nei baci quotidiani con i suoi gatti. Se l’impegno sociale dell’artista non ha tralasciato questioni quali la guerra del Vietnam (“Viet-flakes”, 1965, “Snows”, 1967) e il terrorismo (“Terminal velocity”, 2001-2005), anche nei lavori più recenti il corpo come oggetto distonico e disturbante riemerge in tutta la sua potenza liberatoria (“Vulva’s morphia”, 1992-97), dialogando talora con il tema della morte in dense rappresentazioni simboliche sospese tra conscio e inconscio (“Mortal coils”, 1995, e “Vespers pool”, 2000). Le opere di Schneemann sono esposte presso i più importanti musei del mondo (Los Angeles Museum of Contemporary Art, New York Museum of Modern Art, London National Film Theatre), mentre tra le principali mostre si ricordano la sua prima retrospettiva, “Up to and including her limit” (New Museum of contemporary arts di New York, 1996), e in anni più recenti la mostra itinerante “Carolee Schneemann: Kinetic painting” (Salisburgo, Museum der Moderne; Francoforte, Museum für Modenre Kunst Frankfurt am Main; New York, MoMa, 2015-17).