È l'accusa che l'avvocatessa Esohe Aghatise lancia attraverso un post facebook, riportando un episodio che sarebbe accaduto il 4 marzo allo scalo di Roma
“Era convinto che per il colore della mia pelle non potessi stare nella fila ‘passaporti europei’”. È l’accusa che l’avvocatessa Esohe Aghatise lancia attraverso un post facebook a “un giovane della dogana”, riportando un episodio che sarebbe accaduto il 4 marzo all’aeroporto di Roma. Il racconto dell’avvocatessa è tutto sulla sua pagina Facebook: “Scendo dall’aereo, in arrivo da Londra e mi dirigo verso la dogana. Al bivio dei passaporti, tra cittadini europei e tutti gli altri, mi giro verso l’uscita cittadini europei. Ero in compagnia di Julie Bindel (giornalista inglese, ndr). Un giovane della dogana mi ferma e mi dice che dovevo andare dall’altra parte, nell’uscita tutti i passaporti. Dico di no, sono nel posto giusto. Lui insiste”. La ricostruzione dei fatti è dettagliata: “Chiede di vedere se davvero ho un passaporto europeo. ‘No!’, dico. ‘Sa, so leggere io!’ Lui non capisce. Julie gli chiede perché ha fermato solo me e non lei e tutti gli altri. Dice che mi trovavo nella fila sbagliata. Chiedo perché. Risponde: ‘Lei è di pelle scura e non può essere europea’”. Esohe Aghatise, che è anche consulente per le Nazioni unite contro la tratta delle donne, reagisce con forza: “Razzista!” dice, accompagnando il suo rifiuto di esibire il passaporto per dimostrare di essere nella fila giusta. L’uomo, probabilmente un “facilitatore” delle code in vista del controllo doganale, avrebbe reagito – sempre secondo il racconto – mettendosi davanti alla Aghatise. L’amica Julie Bindel (scrittrice, accademica e firma del giornale inglese The Guardian), avrebbe messo mano al cellulare per riprendere quel che stava accadendo. “A quel punto – ricorda la dottoressa Aghatise – arriva da lontano un collega maschio che chiede a Julie di non filmare. Lei insiste. Lui cerca di toglierle il cellulare”. “Credo che fosse il superiore – commenta Aghatise – che poi ha minacciato di arrestare Julie”. Il racconto su facebook si conclude con la scelta di andarsene: “Eravamo di corsa, avevamo un treno per Napoli, ma se fosse riuscito a togliere il telefono di Julie saremmo rimaste“.
Aghatise conosce molto bene sia il razzismo sia la violenza – è un profilo professionale internazionale – e si sfoga così: “Ho trovato molto preoccupante il fatto che fosse giovanissimo, avrà avuto una ventina di anni”. Non solo: “All’inizio non ci ho creduto. Sembrava una domanda fatta ad un fantasma. Mi sono girata e non c’era nessuno dietro di me. Gliel’ho chiesto di nuovo e mi ha confermato che non potevo passare di la perché sono nera. Una rabbia all’inizio e poi un senso di timore. Timore di ciò che può succedere se una cosa di questo genere dovesse diventare normale“. Paura che il razzismo si normalizzi, dunque. “Poi una paura per i miei figli – aggiunge – di padre italiano e di nome italianissimo, ma ai quali qualcuno una volta ha chiesto con insistenza l’origine geografica”. E adesso? “Contatteremo l’aeroporto per sporgere denuncia e non appena Julie Bindel sarà arrivata a Londra racconterà questa storia sulla stampa inglese“.
PRECISAZIONE
In una prima versione dell’articolo abbiamo attribuito a un agente di polizia doganale le parole oggetto della denuncia di Esohe Aghatise. In realtà nel post l’avvocatessa fa riferimento a “un giovane della dogana”. Ci scusiamo per l’errore con l’interessata e con la Polizia di Stato che è stata senza motivo coinvolta nella ricostruzione errata data nel pezzo.
La redazione de ilfattoquotidiano.it