L’avvio del processo contro l’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per l’inquinamento che lo smaltimento illegale dei rifiuti ha prodotto nella ‘Terra dei fuochi’ non fa che peggiorare la posizione del nostro Paese nel contesto europeo sui temi ambientali. Dalle discariche in attesa di bonifica allo smog, c’è molto lavoro da fare. Ancora di più se si pensa che, in generale, l’Italia è uno degli stati che meno rispetta le sentenze della Cedu. Ma a pesare sull’immagine del nostro Paese (e sulle casse dello Stato) ci sono le infrazioni contestate dalla Commissione europea e per le quali sono stati avviati dei procedimenti. Sui 72 complessivi in corso (numero aggiornato al 24 gennaio 2019), 17 riguardano proprio questioni ambientali. E presto dovrebbero arrivare nuove tegole sul fronte della qualità dell’aria.

QUALITÀ DELL’ARIA E RUMORE AMBIENTALE – Due le procedure avviate in fatto di smog. Si tratta dell’infrazione 2014/2147 per il superamento dei valori limite di PM10 e della 2015/2043 sui livelli di biossido di azoto. Proprio riguardo al NO2, dopo la messa in mora e il parere motivato, dovrebbero esserci imminenti novità con il deferimento ufficiale nei confronti dell’Italia da parte della Commissione europea. Una decisione che potrebbe essere annunciata nelle prossime ore e che riguarda i dati di dieci agglomerati italiani, per una popolazione di circa sette milioni di persone. Il tema è delicato per molti Paesi europei: sono già stati deferiti davanti alla Corte europea di Giustizia altri Stati, tra cui Regno Unito, Germania e Francia. Per quanto riguarda il particolato, invece, dopo il parere motivato inviato al nostro Paese nell’aprile 2017, a maggio 2018 la Commissione Ue ha deferito l’Italia (insieme a Romania e Ungheria) per i limiti superati in 28 aree, comprese le regioni Lazio, Lombardia, Piemonte e Veneto, dove i valori limite giornalieri sono stati costantemente superati, arrivando nel 2016 fino a 89 giorni. I limiti stabiliti dalla legislazione europea dovevano essere raggiunti nel 2005. È ancora aperta, poi, la procedura 2013/2022 per la non corretta attuazione della direttiva 2002/49/CE relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale.

L’ILVA DI TARANTO – Se per la Terra dei fuochi, la Cedu ha accolto in via preliminare i ricorsi ricevuti da più di 3500 persone che hanno presentato 40 istanze collettive, qualcosa di simile è accaduto a Taranto per lo stabilimento siderurgico dell’Ilva. A fine gennaio 2019 la Corte europea dei diritti umani ha accolto il ricorso di 180 persone che nel 2013 e 2015 avevano chiamato in causa i giudici di Strasburgo, sostenendo che l’Italia avesse violato i diritti umani, mettendo in pericolo la loro salute a causa delle emissioni inquinanti dell’Ilva. Per la Corte questi cittadini hanno ragione e i rimedi messi in campo dal governo sono stati inefficaci. E ora all’Italia non resta che correre ai ripari il più rapidamente possibile. Resta aperta, a riguardo, la procedura 2013/2177 per violazioni sia della direttiva IPPC sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento, sia della direttiva del 2010 sulle emissioni industriali.

I RIFIUTI IN CAMPANIA – Un capitolo lungo e complesso è quello dei rifiuti. E storia a sé fa l’emergenza in Campania, sulla quale 12 anni fa è stata aperta la procedura 2007/2195 con cui l’Unione europea ha deferito l’Italia alla Corte Ue, ritenendo che non fossero state adottate tutte le misure necessarie ad assicurare un adeguato sistema di gestione dei rifiuti. A luglio 2015 la Corte ha condannato il governo italiano a pagare una multa di 20 milioni di euro per “l’inesatta applicazione della direttiva ‘rifiuti‘ in Campania”, più una penalità di 120mila euro per ciascun giorno di ritardo”. L’Italia sta ancora pagando, dunque la procedura non si è ancora totalmente risolta.

LE DISCARICHE – Sempre sul tema, c’è la procedura d’infrazione 2011/2215 che riguarda la violazione della direttiva 1999/31/CE sulle discariche e per la quale la Commissione ha già dato un parere motivato e la procedura 2003/2077 che riguarda non solo la corretta applicazione della direttiva comunitaria del ’99, ma anche di altre due norme sui rifiuti pericolosi e sulle discariche. E questa è arrivata a sentenza. A dicembre 2014, la Corte di giustizia dell’Ue ha condannato l’Italia a pagare una somma forfettaria di 40 milioni di euro, per non aver rispettato una precedente sentenza del 2007 e a una penalità di 42,8 milioni di euro per ogni semestre di ritardo nell’attuazione delle misure disposte. L’ex ministro Gian Luca Galletti ha commentato la sentenza, sottolineando come le cose fossero già diverse rispetto al 2007: “Non pagheremo un euro. La sentenza sanziona una situazione che risale a sette anni fa. L’Italia si è sostanzialmente messa in regola”. E spiegava: “Siamo passati da 4.866 discariche abusive contestate a 218 nell’aprile 2013”, cifra “ulteriormente ridotta a 45 discariche”. Come siamo messi oggi? A dicembre 2018 ha fatto il punto il commissario straordinario, il generale Giuseppe Vadalà. Delle 80 discariche abusive presenti sul territorio italiano sotto procedura d’infrazione e affidate nel marzo 2017 al commissario sono 28 quelle bonificate e, quindi, escluse dalla sanzione. Di conseguenza la cifra annuale da sborsare si è ridotta a 21.200 milioni di euro per 52 discariche rimanenti. Altra procedura aperta (siamo al parere motivato per l’infrazione 2009/4426) riguarda la bonifica di un sito industriale nel Comune di Cengio (Savona) ed anche in questo caso viene contestata la violazione della direttiva del 1999 sulle discariche di rifiuti.

ACQUE REFLUE – Quattro le infrazioni contestate che riguardano il trattamento delle acque reflue urbane e che sono scattate dal 2004 al 2017. Per una la Commissione ha dato un parere motivato, per due siamo già alla messa in mora e una quarta procedura è giunta a sentenza. Il rischio, infatti, non è rappresentato solo dalle tre procedure aperte, ma anche da una multa multimilionaria da parte della Corte Ue che potrebbe scattare per mancato adempimento della prima sentenza del 2012. Proprio a dicembre scorso, il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha assicurato un “cambio di passo” data la necessità che il commissario per la gestione di questa emergenza Enrico Rolle, nominato nel 2017, venga dotato di “una capacità di intervento reale, per velocizzare il funzionamento di sistemi che si inceppano per motivi burocratici. Su questo tema – ha aggiunto – siamo indietro di 17 anni, ora basta”.

LE ULTIME NOVITÀ – Tra le novità del 2019 c’è la costituzione in mora nella procedura 2018/2356 per la violazione di una direttiva europea del 2008 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino. E poi ci sono tre pareri motivati che riguardano, rispettivamente, la procedura 2014/2125 aperta per la qualità dell’acqua destinata al consumo umano e i valori di arsenico, l’accesso alle risorse genetiche e l’equa ripartizione dei benefici derivanti dalla loro utilizzazione e la protezione contro i rischi derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti. Il parere sulla qualità dell’acqua riguarda la procedura aperta nel 2014 dalla Commissione Ue, con una lettera di costituzione in mora inviata all’Italia, per la contaminazione dell’acqua da arsenico e fluoro, in particolare nel Lazio. Cinque anni fa i valori limite previsti dalla direttiva Ue sull’acqua potabile non erano ancora rispettati in 37 zone. Ad aprile 2018 l’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche (Irsa-Cnr), sulla base di una elaborazione CittadinanzattivaLegambiente, ha rilevato che sono 110 e concentrati in Lazio (90) e Toscana (11) i Comuni in cui la concentrazione di arsenico nell’acqua non riesce ancora a rientrare nei limiti stabiliti dalla legge, cioè 10 microgrammi per litro e che quindi possono godere di una deroga che alza il limite massimo a 20.

Riguardo, invece, all’esposizione alle radiazioni, la Commissione ha chiesto all’Italia il recepimento, già previsto entro il 6 febbraio 2018, della direttiva sulle norme di sicurezza che aggiorna la normativa europea in materia di radioprotezione, molto più attenta al tema della preparazione all’emergenza dopo l’incidente nucleare di Fukushima. L’Italia ha circa un mese di tempo per rispondere al parere motivato e comunicare le sue misure di recepimento, trascorsi i quali la Commissione potrà decidere di deferire il caso alla Corte di giustizia dell’Ue. Un’ultima infrazione riguarda invece la mancata designazione delle Zone Speciali di Conservazione e la mancata adozione delle misure di conservazione (procedura 2015/2163). In pratica si contesta la violazione la direttiva habitat del ’92 sulla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. Si tratta di una procedura per cui si è già arrivati alla messa in mora.

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