L’amica di mia figlia mi guarda di sbieco, quasi ritrosa, mentre loro, fanciulle in fiore in procinto di sbocciare, parlano come donne a un tea party. “Io ho il culone”, dice una decenne a proposito di un indumento che a suo dire le casca male.
Padre e figlia sono nella sala d’attesa di una scuola di ballo. Si parla dei fisici delle ballerine di danza classica. Il padre, rivolto alla figlia ultra trentenne, le dice ridendo senza alcun freno inibitore o titubanza per essere davanti ad estranei: “Tu hai sempre avuto il culone”.
Questi commenti, a cui le donne sono aduse da giovanissime – a meno che la genetica non abbia donato loro fisici naturalmente esili – mi hanno portato alla mente immagini che, da donna matura e finalmente consapevole del proprio corpo, avevo archiviato nel cassetto dei ricordi spiacevoli di gioventù.
Quante donne hanno vissuto una parentesi di insicurezza o inadeguatezza dovuta al proprio fisico?
Ricordo estati in piscina in cui, per spostarmi anche di pochi metri, non mi separavo mai dall’asciugamano, il cardigan legato ai fianchi come pezzo imprescindibile, la tortura di essere in spiaggia in mezzo ad amiche più magre e stendersi al sole in posizioni “tattiche”. Se c’è una cosa buona e giusta dell’invecchiare è la leggerezza della consapevolezza, mitigata dalla ragione, dal buonsenso.
Io ho superato i quaranta, ma le mie due figlie si stanno approcciando a quegli anni spietati in cui anche una frase sciocca, detta magari con superficialità da un amico, può diventare l’anticamera di nevrosi e fissazioni potenzialmente dannose. Senza contare il teatro virtuale dei social in cui, ogni commento, può echeggiare all’infinito nella loro mente.
Sembra che oggi, attraverso un’esposizione più immediata a un’età precoce, i tempi si siano anticipati. Ad esempio, una bambina di dieci anni può già essere considerata “intrombabile”? Secondo un bambino di quinta, che si riferiva alla sua compagna di classe in questi termini, sì.
Per entrambi i sessi (benché sulle femmine il body shaming sia più diffuso e perdurante), il corpo è da sempre l’oggetto di derisione per antonomasia. Non c’è insulto più immediato e di facile elaborazione, che burlarsi di qualcuno perché è grasso, ha gli occhiali, i brufoli, cammina male, parla male, etc. E’ come tirare un rigore a porta vuota, e un applauso (o un like) lo strappa sempre.
L’impaccio per il proprio corpo passa anche dal continuo osannare i fisici statuari delle modelle, delle attrici, delle donne delle spettacolo in generale. In tutti i red carpet, copertine, blog o profili Instagram, è quasi impossibile trovare qualcuno di successo con una taglia forte. Si tende ad emulare, per un istinto visivo e per mancanza di modelli altri, quello che si guarda con gli occhi e ci circonda. Voglio essere quello che vedo.
L’empatia verso gli altri è in parte connaturata, ma penetra anche con l’educazione in casa, che diventa salvezza o dannazione. Se sento uno dei miei figli, maschio o femmina che sia, usare parole a sproposito, ad esempio l’intramontabile “ciccione”, li riprendo con veemenza. Ciò che viene tollerato tra le mura domestiche, migra fuori con più facilità.
Il body shaming dettato dalla crudeltà o dall’ignoranza prolifera sia negli uomini che nelle donne, come l’ultimo caso dei commenti sulle modelle curvy oscurati dal sito di Zalando. Gli insulti erano per mano di uomini ma anche di tante donne.
Qual è il valore dell’otto marzo? Ha ancora senso parlare della festa della donna? Per quanto anacronistico e melenso possa sembrare questo giorno, può essere utile vederlo come spunto per discutere, comprendere alcune piaghe cruciali della nostra società, e combatterle.
Il cambiamento, che investe tutti noi ad ogni età, deve pulsare su un doppio binario e agire in concerto tra i due sessi. Non può esserci una lotta collettiva, universale, portata avanti solamente da una metà.
Madri e padri, donne e uomini, devono tutti fare parte della stessa squadra. Non si tratta di scegliere tra noi e loro, ma tra quello che è giusto e sbagliato.