La sentenza n.40 (relatrice Marta Cartabia) ha dichiarato illegittimo l’articolo 73, primo comma, del Testo unico del 1990: troppa la differenza tra il massimo stabilito per i reati di lieve entità (quattro anni) e il minimo per la casistica grave. La decisione a pochi giorni dalla presentazione del nuovo ddl leghista sugli stupefacenti
La Corte costituzionale ha stabilito che la pena minima di otto anni prevista per i reati non lievi in materia di stupefacenti è sproporzionata. Troppa la differenza con il massimo stabilito per i reati di lieve entità (quattro anni): un’anomalia sanzionatoria in contrasto con i principi di eguaglianza, proporzionalità, ragionevolezza (articolo 3 della Costituzione), oltre che con il principio della funzione rieducativa della pena (articolo 27). Questo recita la sentenza n.40 depositata oggi (relatrice Marta Cartabia) che ha dichiarato illegittimo l’articolo 73, primo comma, del Testo unico sulla droga del 1990. Una decisione che arriva pochi giorni dopo la presentazione da parte di Matteo Salvini del disegno di legge leghista che prevede l’aumento delle pene fino a 6 anni per la casistica di lieve entità.
La dichiarazione di incostituzionalità arriva dopo che la Corte, con la sentenza n.179 del 2017 aveva invitato “in modo pressante” il legislatore a risanare la frattura che separa le pene per i fatti lievi e per i fatti non lievi, previste, rispettivamente, dai commi 5 e 1 dell’articolo 73 del Testo unico. Quell’invito è rimasto però inascoltato, così la Corte ha ritenuto “ormai indifferibile” il proprio intervento per correggere “l’irragionevole sproporzione, più volte segnalata dai giudici di merito e di legittimità”. “La soluzione sanzionatoria adottata – si legge in una nota della Corte – non costituisce un’opzione costituzionalmente obbligata e quindi rimane possibile un diverso apprezzamento da parte del legislatore, nel rispetto del principio di proporzionalità”. Rimane inalterata la misura massima della pena, fissata in venti anni di reclusione, applicabile ai fatti più gravi.
Il ddl leghista punta in questo senso ad aumentare le pene previste per i reati di lieve entità, oggi fissate appunto tra un minimo di sei mesi e un massimo di quattro anni di carcere. “Si passerà a un minimo di tre e a un massimo di 6 anni“, aveva annunciato Salvini. Di fatto si tratta di una retromarcia rispetto all’ultimo intervento in materia, lo “Svuota carceri” del 2014, che per evitare sanzioni sproporzionate aveva previsto “un reato autonomo” per la lieve entità.