Il documento in questione era stato firmato dal medico legale Dino Tancredi, l’unico già nominato il 30 ottobre 2009, e vi si sottolineava come servissero ulteriori approfondimenti per definire le cause del decesso. Eppure già in quei giorni l’Arma sottolineò come i medici legali avessero escluso il nesso di causalità tra la morte del giovane e le percosse subite
Una relazione preliminare sui primi risultati dell’autopsia di Stefano Cucchi tenuta segreta e depositata nel 2009 in Procura. Un documento di cui gli stessi carabinieri erano però da subito a conoscenza ma che sembrano ignorare nei loro primi atti ufficiali. Emergono nuove incongruenze nella vicenda del giovane detenuto romano morto all’ospedale Pertini dieci anni fa. Ci sono nuovi atti svelati dal pm Giovanni Musarò, che sta cercando di fare luce nell’inchiesta sulla morte e sui presunti depistaggi: si tratta di una relazione datata 30 ottobre 2009 “sui primi risultati dell’autopsia, tenuta segreta ma di cui il comando provinciale e il Gruppo Roma sapevano”.
La relazione preliminare lasciava incerto un qualsiasi nesso tra le lesioni sul corpo di Cucchi e il decesso ma negli atti i carabinieri escludono ogni possibile collegamento. In quel documento preliminare infatti si sottolineava che “la lesività delle ferite allo stato non consentiva di accertare con esattezza le cause della morte”. Un referto che sembra sbattere contro i verbali dei carabinieri, redatti poche ore dopo. Nel suo intervento di fronte alla Corte d’Assise di Roma, durante un’udienza che vede imputati 5 carabinieri, il pm Musarò ha sottolineato che “nei verbali a firma dell’allora comandante del Gruppo Roma Casarsa e dell’allora comandante provinciale Tomasone la relazione non viene menzionata”. E già in quei giorni i carabinieri, “pur sapendo di quella relazione preliminare segreta nel verbale escludevano un nesso di causalità delle ferite con la morte”.
Un documento che gli stessi legali della famiglia Cucchi – secondo quanto riferiscono – è stato tenuto a loro “nascosto fino al deposito della relazione completa nel 2010″. Tutto ciò nonostante avessero “presentato istanza al pm Vincenzo Barba”, titolare della prima indagine sulla morte di Stefano. La serie di incongruenze ha spinto lo stesso Musarò a porsi una domanda a cui finora non è stata ancora data risposta: “Se nel 2009 non si conoscevano le cause della morte – ha detto il pm in aula – com’è possibile che i carabinieri nei loro documenti già lo sapessero?”. Ovvero: se la relazione introduceva elementi di incertezza perchè i carabinieri esclusero nettamente il nesso lesioni-morte?
In una deposizione di due giorni fa è lo stesso autore di quel documento, il medico Dino Mario Tancredi, a dimostrare le sue perplessità: “Non so dirvi per quale ragione la predetta relazione preliminare non fu messa a disposizione delle altre parti”, ha detto ascoltato in procura. Il medico legale ha anche spiegato che la relazione “contiene un parere preliminare che è del tutto orientativo, perché è poi necessario compiere gli approfondimenti e le valutazioni del caso. Per questo il pubblico ministero ci concesse 60 giorni” e il perito fu affiancato poi da un gruppo di specialisti.
Alcuni mesi dopo arrivò la relazione definitiva del 2010, definita “ormai come farlocca” dal pm Musarò perchè inquinata da presupposti investigativi viziati, il quale ha chiesto ai giudici di ritirare dalla lista testi i medici legali, i periti e i consulenti del pm nel primo processo sulla morte di Cucchi (quello che vede imputati i medici del Pertini, ndr). “Le loro testimonianza – spiega il pm – introdurrebbero un vizio nel processo attuale”. E sul fronte del processo d’appello ai medici del Pertini, arriva oggi la seconda perizia affidata dalla Corte d’Assise d’Appello che porta alla conclusione che il geometra morì per una morte cardiaca su base aritmica e non per malnutrizione, come sancì la perizia precedente. Ma non si esclude l’ipotesi che una cura adeguata avrebbe potuto salvarlo.