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Barbie compie 60 anni: storia della bambola bionda (nata mora!) più amata, criticata e venduta al mondo

Voleva scardinare gli stereotipi e insegnare alla bambine ad essere “tutto ciò che volevano”, ma è diventata sinonimo di bionda e superficiale: lanciata il 9 marzo 1959, ha attraversato i decenni sempre sulla cresta dell’onda. E adesso diventa un film

di Beatrice Manca

E’ stata sulla luna prima di Armstrong, si è candidata alla presidenza degli Stati Uniti prima della Clinton; è stata popstar, esploratrice e chirurgo. La Barbie, la bambola che ha sostituito tutte le altre bambole, compie oggi 60 anni. Ma è più social che mai, e, nonostante le critiche e i momentanei cali di vendite, non conosce crisi: nel 2018 la Mattel ha realizzato ricavi per oltre un miliardo di dollari, sorprendendo gli analisti e rassicurando gli addetti ai lavori. Potrà aver avuto qualche acciacco, ma la Barbie si prepara a festeggiare il suo compleanno in forma smagliante.

Fu una donna ad inventarla: Ruth Handler, moglie del fondatore della Mattel. Creò una bambola come non si era mai vista, ricalcando la tedesca Lilli Doll: con le fattezze adulte e le curve di una pin-up. Le diede il nome di sua figlia, Barbara Millicent Roberts. Per gli amici, Barbie. Propose l’idea al marito, e fu un successo enorme: più di 300mila pezzi venduti in un anno. Fu lanciata il 9 marzo 1959, disponibile sia mora che bionda, con un costume tigrato e sandali con il tacco. In un mercato dominato da bambolotti in fasce, la sensuale Barbie fu la fortuna della sua casa di produzione, la Mettel. Barbie cominciò subito a lavorare: lo scopo era “mostrare alle bambine che sarebbero potute diventare ciò che desideravano”. Potevano immaginare la loro bambola infermiera o pilota, ballerina o astronauta, e quindi immaginare anche loro stesse in quei ruoli. Nel 1965, in piena corsa allo spazio, Barbie mise il suo piedino sulla luna, anticipando la storia. Tre anni dopo uscì Christie, la prima versione di colore. Tra la disco-music e l’aerobica ha attraversato indenne gli anni della contestazione giovanile ed è sopravvissuta al femminismo; è stata chirurgo, rockstar e oro olimpico e ha poi cavalcato i rampanti anni ’80 con un tailleur da manager con le spalle imbottite. Indipendente, glamour, di successo: Barbie incarna, in 28 cm di plastica, la quintessenza del sogno americano. La Mattel ha dichiarato di aver toccato la cifra record di tre Barbie vendute ogni secondo nel mondo: già un’icona, nel 1985 Andy Warhol l’ha consacrata nella pop art. Negli anni ‘90 gli Aqua hanno consegnato alla memoria collettiva l’accattivante ritornello di “Barbie Girl, in a barbie world”.

Non c’è bambina che non abbia almeno un ricordo legato alla bambola Mattel: chi le amava le collezionava, chi le odiava le smontava o sforbiciava le chiome senza pietà. E chi dice di non averci mai giocato lo fa con una punta d’orgoglio, consapevole di essere un’eccezione. Il segreto del successo è stato creare un mondo fatto di amiche, cuccioli, automobili, camper, case e infiniti accessori: tutti acquistabili separatamente. E soprattutto il suo sconfinato, invidiato guardaroba. Sempre coordinata, sempre sorridente, sempre perfetta. Troppo perfetta. Così magra, con gli occhi enormi, le gambe affusolate e il seno alto sulla vita sottile. Accusata di alimentare un senso di frustrazione nelle bambine rispetto a uno standard impossibile, la Barbie ha perso appeal. E vendite. Che fatica, essere perfette e mute ai tempi del #metoo. L’azienda è corsa ai ripari, provando a scongiurare la crisi con modelli più realistici, che somigliassero davvero a ragazze normali: curve più generose, più diversità etnica, bambole con la vitiligine o disabili.

Nessun giocattolo ha avuto una vita longeva come la Barbie: nonostante i suoi mille cambi di look, ha finito per identificare un tipo di donna, la bionda californiana bellissima e un po’ svampita. Per non dire sciocca. Con buona pace di Ruth Handler, che avrebbe voluto che fosse sinonimo di emancipazione. Ma quando si pensa a Barbie vengono subito in mente le ragazze di Mean Girls o Paris Hilton con il cagnolino nella borsa. Non certo una campionessa-detective-archeologa, come c’era scritto sulla confezione.

Barbie è stata di tutto, tranne che sposata: sono stati fidanzati decenni, ma lei -furba! -non si è mai fatta mettere l’anello al dito. Dovrebbe essere una distinta signora di sessant’anni ormai, invece è una ragazza molto social, con un account personale (@barbiestyle) da 2 milioni di follower dove pubblica le foto della sua fantastica vita di plastica. Soprattutto dei suoi look: Barbie è stata vestita dai più grandi, da Karl Lagerfeld a Giorgio Armani, e altrettanti ne ha influenzati (ricordate una certa collezione di Moschino rosa shocking?). Intorno al suo personaggio è nata una galassia di libri, film d’animazione, perfino videogiochi. Adesso arriva sul grande schermo, in carne ed ossa: a vestire i suoi panni (luccicanti) sarà Margot Robbie, bellissima bionda australiana, occhi di ghiaccio e sorriso smagliante. “Una vera Barbie”, potrebbe dire qualcuno.

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