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Cinema

Capitan Marvel è donna. E non ha proprio nulla da dimostrare

Capitan Marvel, ultima pellicola targata Disney e Marvel, aveva fatto parlare di sé – e tanto – già prima della sua uscita, a causa di numerose polemiche che l’avevano portata a vere e proprie campagne di boicottaggio da parte di un impressionante numero di hater online. All’uscita del primo trailer il prodotto fu criticato perché l’attrice non sorrideva praticamente mai in quella manciata di secondi (?!) e quindi venne giudicata inespressiva. Successivamente vennero strumentalizzate alcune dichiarazioni della protagonista Brie Larson, colpevole di aver auspicato una maggiore inclusione nella critica cinematografica, composta – secondo le statistiche – prevalentemente da maschi bianchi. Il risultato era stato un bombardamento di siti di critica come Rotten Tomatoes e Imdb, letteralmente assaltati da recensioni negative prima ancora che il film uscisse tanto da costringere gli stessi siti a correre ai ripari e rivedere lo score. Ora che il film è finalmente uscito, ognuno può farsi la propria idea al riguardo. Quella di chi vi scrive è che ci sia più di un motivo per apprezzarlo.

1. La simbologia supereroistica

Quando si parla di film di supereroi è necessario fare una premessa: derivano da un medium come il fumetto che per lungo tempo è stato considerato appannaggio esclusivo di un pubblico giovane, compreso in un cono d’ombra che va dall’infanzia all’adolescenza, pensiero talmente radicato nel mondo occidentale da aver causato anche alcune recenti controversie mediatiche. Lo showman Bill Maher, ad esempio, all’indomani della morte di Stan Lee aveva ribadito questo suo pensiero, schierandosi dalla parte di chi trova puerili simili prodotti. È innegabile che la semplicità delle storie e l’assai poca verosimiglianza di contesti, capacità dei personaggi ed esiti narrativi trovi poco riscontro nella realtà di tutti i giorni, e lo spazio di temi più seri e impegnati, qualora facciano capolino in questi film, deve essere condiviso con costumi sgargianti e pirotecnici effetti speciali.

La discussione è lunga e ci porterebbe fuori tema: perciò va rimandata. Ma è innegabile che per apprezzare questi film di genere sia necessaria una notevole sospensione dell’incredulità e soprattutto voglia di cogliere il potenziale simbolico di personaggi umanoidi che si ritrovano ad affrontare minacce più grandi di loro con l’obiettivo di preservare il bene collettivo dell’umanità. Capitan Marvel è un film che non fa eccezione da questo punto di vista: ha il pregio di caricarsi consapevolmente sulle spalle questa premessa e di saper confezionare due ore di genere formalmente impeccabili, ma anche originali nella sua narrativa, e non soltanto perché è il primo film Marvel con una donna come sola protagonista.

2. La politica di Capitan Marvel

A giudicare dall’antefatto polemico che aveva preceduto la sua uscita, una parte vagamente prevenuta e pregiudiziosa del pubblico aveva temuto di assistere a un film speculativo, desideroso di cavalcare una certa retorica politica a beneficio di interessi economici e consumistici: ma la paura era infondata, col senno di poi addirittura sospetta. Capitan Marvel è infatti un film femminista nella misura in cui è un film consapevole con una donna come protagonista, e che non contiene elementi di narrazione tossica sessista.

Gli elementi patriarcali sono accennati o fanno da sfondo (i colleghi dell’Air Force che le ricordano la natura fallica degli aerei che pilota, il padre che non vuole che diventi una pilota come i fratelli, motociclisti di passaggio che reclamano un sorriso immotivato con finalità puramente estetiche, proprio come gli hater del trailer). Il vero nemico della pellicola, infatti, non è una visione patriarcale della donna o della società, ma l’imperialismo senza genere (l’Impero Kree), la capacità del desiderio di sopraffazione e potere in grado di penetrare nelle menti e di manipolarle a prescindere dai loro corpi (rappresentato dall’enigmatica Intelligenza Suprema Kree).

È un film che va oltre le questioni di genere e ci offre una protagonista che trova se stessa non tanto nell’opposizione a un sistema patriarcale, ma nel rifiuto di riconoscersi in una logica ben più subdola, di espansione violenta e materialista in cui tutto ciò che può essere conquistato lo sarà, a qualsiasi prezzo.

Questo sistema imperialista limita i poteri della protagonista, convincendola di essere assai meno forte di quello che è in realtà e di essere in grado di conquistare solo ciò che l’Impero vuole che conquisti. Nello scontro finale tra il personaggio interpretato da Brie Larson e la sua nemesi, quest’ultima le chiede di dimostrarle cosa è in grado di fare davvero, e nella risposta della protagonista c’è la chiave per comprendere l’esigenza narrativa del film, cioè quella di raccontare il rifiuto di un sistema sovra-determinante basato sul senso di colpa o di riconoscenza: “non devo dimostrarti proprio nulla”.