Paolo Flores D’Arcais ha scritto su MicroMega una cosa che mi ha colpito: “Una forza politica di governo ha diritto a definirsi di sinistra se, e solo se, con il suo agire riduce ogni giorno, quanto più drasticamente possibile, le diseguaglianze. Questo è l’unico criterio. E semmai lo scarto tra il fare (o non fare) e il dire”.

Nei primi decenni del dopoguerra le forze politiche “di sinistra” (dal Pci e dal Psi a quelle più moderate come il Psdi) e i sindacati avevano come obiettivo comune proprio il superamento delle diseguaglianze. E le loro lotte resero possibile quel meccanismo di “ascensore sociale” il cui arresto (per le crisi internazionali, la globalizzazione e ragioni interne) ha provocato la crisi della sinistra e quel diffuso sentimento di “rancore” in cui Giuseppe De Rita vede la causa prima della vittoria delle forze populiste.

L’impoverimento degli italiani è attestato da tutte le fonti statistiche, a partire dall’Istat: “Nel 2017 si stimano in povertà assoluta un milione e 778mila famiglie residenti, in cui vivono 5 milioni e 58mila individui; rispetto al 2016 la povertà assoluta cresce in termini sia di famiglie sia di individui”. Ma se questo tristissimo fenomeno è ormai noto e documentato, non è altrettanto noto (né tantomeno documentato) quello che chiamerei “l’impoverimento collettivo”, intendendo con questo l’affievolirsi della presenza dello Stato e degli enti locali nella vita quotidiana dei cittadini. Provo a fare alcuni esempi, come mi vengono in mente.

1. Gli agenti in borghese della Guardia di Finanza, che perfino nei piccoli centri fermavano la gente che usciva da bar e negozi ed esigevano di vedere lo scontrino fiscale, facendo multe salate anche per quelle minuscole “evasioni”;
2. I controllori su autobus e tram, la cui apparizione a Roma (città in cui vivo) è ormai “un evento”;
3. La Polizia stradale, garante della sicurezza dei cittadini/automobilisti oltre che del rispetto delle regole del Codice: letteralmente scomparsa;
4. I vigili urbani (a Roma, su un totale di circa 6mila circa un terzo è addetto al servizio del traffico);
5. I giardinieri, che a Roma sono una razza in via di estinzione: erano 1.800 nel 1980, sono oggi 180. Nella città con più verde in Europa;
6. I Carabinieri, solo presidio di sicurezza nei piccoli centri. Nel mio paesino in Abruzzo (1.300 abitanti) ce ne sono tre o quattro, che hanno competenza anche su altri piccoli paesi privi di una stazione dell’Arma. Risultato: è come se non ci fossero. Per non dire della Polizia, che gira molto di meno “per mancanza di benzina”;
7. La Forestale, che già prima dell’assurda fusione con i Carabinieri era ridotta a occuparsi solo delle emergenze (soprattutto incendi), avendo abbandonato il ruolo – svolto con ottimi risultati nei decenni Sessanta e Settanta – di riforestazione e difesa del territorio.

E si potrebbero trovare tanti altri esempi. Se si cerca di capire – rivolgendosi alle “autorità competenti” – il perché di questi impoverimenti, la sola risposta che si riesce ad avere è che “non ci sono soldi”. E in parte è certamente vero, anche se ad esempio questa è una falsa risposta nel caso dei vigili urbani “infrattati” negli uffici, perché non solo prendono lo stesso lo stipendio, ma non danno nemmeno il reddito derivante dalle multe che potrebbero fare se lavorassero in strada. Il problema – per un cittadino che non sia un economista – è capire perché in Italia “non ci sono soldi” per lo svolgimento delle funzioni pubbliche, benché il nostro sia, in Europa, uno dei Paesi con il più alto livello di imposizione fiscale.

Non sono in grado di valutare quanto questo “impoverimento generale” sia dovuto ai fenomeni ben noti di inefficienza della Pubblica Amministrazione e di corruzione (anche qui l’Italia occupa i posti alti della classifica mondiale, con circa 60 miliardi persi dalla collettività). Certamente, però, una delle cause di questa cronica mancanza di soldi è da ricercare nell’evasione fiscale: un campo in cui l’Italia occupa i primissimi posti in Europa e nel mondo.

Con 150 miliardi di evasione annua (su entrate fiscali totali di circa 450) potresti assumere tutti quei signori di cui ho indicato la progressiva sparizione (e fare ben altro). Eppure, su questo tema i partiti politici non sono disposti a impegnarsi, perché temono di inimicarsi i tanti evasori che sono anche fra gli italiani che li votano (una volta, con un trucchetto giornalistico di cui mi vergogno un po’, sono riuscito a far confessare a un politico del Pd che anche loro “ci vanno piano”, perché perfino fra gli elettori Dem “ci sono tante partite Iva”). Del resto, non è un caso che in Italia i detenuti per reati fiscali siano circa 150, contro i 5.600 della Germania e i 12mila degli Stati Uniti.

E sempre più l’evasione sta diventando una regola, al punto che un idraulico, chiamato al telefono per un problema urgente, mi ha detto: “Potrei venire domattina, ma solo se Lei non vuole la ricevuta, altrimenti non vengo”. Per dire la sensazione di normalità e la certezza di impunità per gli evasori.

Dunque, i partiti politici (mi riferisco in particolare al Pd, ai 5stelle e a +Europa, visto che i partiti di centrodestra sono quelli dei condoni permanenti) dovrebbero farsi coraggio e affrontare il problema, anche con le maniere forti e senza “garantismi”, che in questo caso sono falsi e ingiustificati. Ma devo aggiungere che ancor prima di perseguire l’evasione fiscale (o magari contemporaneamente) il potere politico dovrebbe divenire “trasparente” sull’uso che lo Stato fa dei quattrini dei contribuenti, per dovere civico e anche per non dare alibi agli evasori.

Perché è vero che da sempre il fisco è vissuto come un vampiro che succhia il sangue dei cittadini, ma non dice cosa ne fa. Non a caso già nel 1922 Piero Gobetti, in un articolo su La Rivoluzione Liberale, così si esprimeva: “In Italia il contribuente non ha mai sentito la sua dignità di partecipe alla vita statale: la garanzia del controllo parlamentare sulle imposte non è un’esigenza, ma una formalità giuridica. Il contribuente italiano paga bestemmiando lo Stato; non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione sovrana. L’imposta gli è imposta”.

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