Dopo giorni di apprensione, ieri 9 marzo è stata ufficializzata la morte di Daniele Nardi e Tom Ballard, i due alpinisti che stavano cercando di scalare il Nanga Parbat percorrendo la via dello Sperone Mummery, mai percorsa se non in discesa dai fratelli Messner quando uno dei sue, Gunther, perse la vita. I corpi, per il momento, rimarranno lì, dove sono stati individuati, a 5900 metri. Le operazioni di soccorso sono state sospese per l’impossibilità di avvicinarsi a quel luogo così impervio e pericoloso. Daniele Nardi aveva già provato la via Mummery quattro volte: quasi un’ossessione la sua per quello sperone che deve il nome ad Albert Frederick Mummery, alpinista inglese che ha gettato le basi per quello che poi sarebbe stato chiamato “stile alpino”.
E Reinhold Messner, poco dopo aver appreso la notizia del riconoscimento dei corpi sul Nanga, ricorda con l’Ansa l’incontro con l’alpinista di Latina: “A Daniele Nardi, tre o quattro anni fa, dissi che salire sullo sperone Mummery non è un atto eroico, ma è stupidità“. “Pare che siano morti a 6.000 metri, nell’angolo più pericoloso della parete, adesso però è troppo tardi per dire che in quell’angolo io non ci andrei”: così Reinhold, che proprio lì vide morire il giovane fratello mentre insieme stavano scendendo dopo aver raggiunto la vetta. La sua ipotesi è che i due siano stati travolti da una valanga.
“Certo, chi va in montagna rischia sempre – prosegue il grande alpinista – però l’arte dell’alpinismo sta nella capacità di superare difficoltà e di evitare pericoli e in quell’angolo di Nanga Parbat, alla base del Mummery, non si possono aggirare i pericoli e un bravo alpinista in quell’angolo non va”. Un pensiero per i familiari e per chi non smetterò mai di piangere Nardi e Ballard: “Siccome andare lì a piedi è troppo pericoloso, mi auguro che in primavera un elicottero specializzato vada a prendere i due corpi per restituirli ai loro cari, prima che la neve e il ghiaccio li sommergano”, come avvenne per il fratello di Messner, ‘restituito’ dal ghiacciaio solo 35 anni dopo l’incidente. “E’ fondamentale – aggiunge ancora – che i loro congiunti abbiano la possibilità di capire, di sapere, perché tutto questo è capitato alla fine del mondo: il Nanga Parbat è una montagna molto complessa, pericolosa che ha una storia terribile“. Una storia di cui Messner fa parte, anche perché in quella montagna ci è salito in solitaria nel 1978: “Quando abbiamo trovato il corpo di mio fratello – racconta – ho portato tutta la mia famiglia alla base di questa montagna per poter raccontare loro che cosa era successo: avevano la necessità di capirlo emozionalmente, spero che anche i parenti di Nardi e Ballard possano fare un’esperienza simile, prima o poi”.