Il docufilm è diretto da Benedetta Argentieri, giornalista indipendente e reporter di guerra: "Quando mi chiedono com’è essere una donna al fronte non riesco a capire perché ci sia sempre una disparità nella narrazione tra una donna e un uomo che sceglie, consapevolmente, di andare in una zona di guerra, come purtroppo dimostrata il dibattito italiano su Silvia Romano, a cui dedico un pensiero"
“Ci sono dei segnali che noti in una giovane donna quando passa da vittima a difensore: la sua voce diventa più forte, il pianto comincia a fermarsi, e poi dice no, oggi non piangerò”. Yanar Mohammed è una delle tre protagoniste di I am the Revolution, docufilm diretto da Benedetta Argentieri (giornalista indipendente e reporter di guerra) per raccontare la rivoluzione guidata da tre donne in tre Paesi devastati dalla guerra: nell’ordine Afghanistan, Siria, Iraq.
La sua organizzazione collabora con il Worker-Comunist Party iracheno e si occupa di difendere i diritti delle donne mettendo a disposizione degli housing centers. Illegale in Iraq ma riconosciuta dall’Onu, l’Owfi aiuta le donne a fuggire da diverse forme di abusi, inclusi il traffico sessuale, il delitto d’onore, i matrimoni forzati, e negli ultimi 15 anni è riuscita a salvare almeno 500 donne. “Nei nostri rifugi le persone possono ricominciare da capo”. Le attiviste dell’Owfi sono determinate a costruire la propria realizzazione personale, ma per loro ricominciare vuol dire prima di tutto affermare e trasmettere un diritto, portando quello che hanno imparato ad altre donne per renderle più forti. Collaborano alla pari con molti uomini, scendono in piazza e urlano per la libertà e per far capire che emarginare le donne è sbagliato. “A volte – dice Yanar – cresci in un posto e pensi che l’oppressione delle donne sia per sempre. Poi realizzi che no, non dovrebbe essere così”.