Forse è l’ultima volta che scrivo di Daniele Nardi. L’ho fatto varie volte in questi ultimi anni, qui e altrove. L’ho fatto perché mi piaceva seguire le sue imprese che ti faceva vivere in maniera diretta e coinvolgente. Era dotato di un’arte straordinaria: riusciva a trascinarti nelle sue vittorie e nelle sue sconfitte in un crescendo senza fine. Partivi con lui, pativi con lui e soffrivi con lui.

Era il 2002 quando scalò per la prima volta gli ottomila. Da allora non si è più fermato. Lo ricordo molto bene in quei tempi a casa di Enzo Paulinich. Aveva appena scalato lo Shisha Pangma, in Tibet e aveva tante riprese e tanto materiale da montare. Enzo fece un lavoro perfetto e ne venne fuori un bellissimo filmato. Lo vidi in anteprima. Era emozionante. Venne proiettato nell’auditorium di Sezze. La sala era piena di gente ed erano presenti anche alcuni scalatori famosi venuti apposta per lui.

L’avventura di Daniele per gli ottomila era iniziata. L’anno dopo, con Mario Vielmo, Michele Fait e Stefano Zavka, partì per la conquista del K2, riuscendoci. Gioia e dolore in quell’occasione perché Zavka si perse per sempre nella tempesta che li prese dopo aver raggiunto la vetta. Gioia per essere arrivati in cima e tanto dolore per la perdita del compagno, commentò Daniele in quell’occasione.

Anche per quell’impresa Paulinich montò i video e nacque il bellissimo K2 Freedom, documentario girato e commentato dai protagonisti e pieno di emozioni e di attese. Nel film Daniele Nardi racconta la drammatica esperienza vissuta. Perdere in quelle circostanze un amico e un compagno di cordata è una cosa che segna. Per sempre. “Siamo stati insieme anche pochi giorni prima che partisse – racconta Enzo. Era venuto da Factory10 a Latina per la proiezione di K2 Freedom e aveva parlato di questa spedizione con un entusiasmo che non gli avevo mai visto. Alcuni partecipanti li ho visti ieri per una mostra fotografica, erano tutti commossi e costernati, ci siamo abbracciati come se fossimo stati tutti fratelli di Daniele. Aveva questo potere. Ci mancherà molto”, aggiunge.

Il K2 per Daniele non è che una tappa e quindi l’attività e il suo sogno continuano. Conquistata e archiviata la seconda montagna più alta del mondo, per lui comincia la fissazione del Nanga Parbat, la montagna assassina. È l’estate del 2008 quando con Mario Panzeri dei Ragni di Lecco e Renato Chiocca, regista di Latina e responsabile delle riprese video, parte per Islamabad. Da quell’esperienza nasce il film La montagna nuda. In realtà più che di un film si tratta di un viaggio antropologico nelle regioni più remote del Pakistan e di un’“eccezionale impresa alla riconquista di se stessi attraverso una natura grandiosa e spietata, fino all’arrivo sopra le nuvole, sulla vetta della montagna che più di ogni altra ha segnato la storia dell’alpinismo“. “L’entusiasmo lo sento scorrere tra le vene”, diceva Daniele prima e durante il viaggio.

“Quell’anno conquistò la vetta e riconquistò anche una parte di se stesso – racconta Chiocca. Daniele era generoso e forte e non gli sono mai mancate lucidità e disciplina. Era un uomo sensibile, che soffriva le perdite e amava l’amicizia. Era tenace nei rapporti, senza mezze misure e diretto nel farti sentire parte del suo mondo. Con lui lassù mi si è rivelato il nostro pianeta come mai mi era apparso, scoprendo come una montagna potesse splendere nella notte con la sola luce delle stelle. Parlo di quella stessa montagna che pare oggi se lo tenga per sempre. Gli sono debitore di tante emozioni, di ricordi unici, e anche del privilegio di essere diventati amici. E gli amici restano anche da lontano. Mi mancherà”.

Mancherà, sì. Mancherà a noi e ai tanti che lo conoscevano prima e che lo avranno nel cuore, per sempre. E mancherà anche a quelli che lo hanno conosciuto in quest’occasione e tifato per lui e per Tom Ballard. Mancherà ai suoi amici dell’Azienda pontina “Sport 85”, che lo hanno sponsorizzato fin dai suoi primi sgambettii sulle montagne locali. E mancherà ai suoi ex allievi di scuola di arrampicata. “Ho conosciuto Daniele nel 2003, quando ho preso lezioni di arrampicata. Abbiamo saltato la palestra e siamo andati dritti sugli scogli. Daniele era un fissato della sicurezza, continuava a ripetere che l’arrampicata è uno sport molto sicuro se fatto nel giusto modo, ma potrebbe essere mortale se non si fa attenzione e non si seguono le procedure di sicurezza fondamentali” dice Ilaria Mogno, ricordando l’amico e maestro.

Il Mummery: sfida e ossessione, si è detto. Ognuno di noi ha il suo sperone Mummery, scrive don Marco Pozza in questo pezzo che ho letto in questi giorni. Sicuramente il più bello. E il più dolce. “Dentro ciascuno di noi svetta quella roccia, quel quasi-impossibile, l’intrigo che ci toglie di dosso, alla notte, il sonno. La voglia di battersi per un qualcosa che sia un pezzo unico”. Mummery o no, chi ha conosciuto Daniele ne esalta e sottolinea, senza se e senza ma, la grande professionalità e la grande attenzione posta al suo lavoro. Noi lo abbiamo seguito e sappiamo che è così.

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