A Gela sosterranno l’ex candidato di Angelino Alfano, appoggiato dal coordinatore provinciale di Forza Italia. A Bagheria dovevano strappare la città al Movimento 5 stelle, ma alla fine sosterranno un ex candidato di Saverio Romano. A Monreale vanno in ordine sparso, ma la lista principale sosterrà un altro aspirante sindaco di centrodestra, appoggiato da Diventerà Bellissima, il movimento del governatore Nello Musumeci. Cambiano i segretari ma in Sicilia il Pd non ha perso il vizio di flirtare con l’avversario. O meglio: con quello che dovrebbe essere l’avversario. Un concetto che sull’isola è più fluido che altrove. E adesso a fare i patti con la centrodestra sono i sostenitori di Nicola Zingaretti: gli stessi che attaccavano Matteo Renzi e i suoi, rei di aver spostato il partito troppo a destra.

La scalata di Zingaretti – Già nelle ore successive alla vittoria delle primarie, i retroscena facevano filtrare quale fosse una delle priorità del nuovo segretario:  Zingaretti doveva presto prendere in mano il dossier Sicilia, per cercare di mettere ordine in un partito dilaniato dalle guerre intestine. “Avremmo bisogno di un partito moderno, plurale, senza correnti e invece abbiamo solo correnti senza partito“, ha detto più volte il nuovo titolare del Nazareno. Che in campagna elettorale è entrato più volte in contrasto con Davide Faraone, il viceré di Matteo Renzi sull’isola. E infatti dopo la vittoria del 3 marzo, in molti hanno chiesto le dimissioni del renziano da segretario dei dem in Sicilia. Un “vulnus che divide“, è come il governatore della Regione Lazio ha definito la nomina di Faraone, senza passare dalle primarie, visto che Teresa Piccione – zingarettiana e sua unica sfidante – si era ritirata alla vigilia del voto.

Tre voti in un mese – I contrasti tra Zingaretti e Faraone, però, sembrano essersi appianati nelle ultime ore. Uno scambio di comunicati tra il laziale Marco Miccoli e il siciliano Antonio Rubino ha normalizzato i rapporti tra vertici nazionali e regionali del partito. Solo che nel frattempo in Sicilia si vota. Sull’isola niente election day ma un doppio turno elettorale fissato solo un mese prima delle europee: si vota il 28 aprile, con eventuale ballottaggio fissato per il 12 maggio. Appena due settimane dopo urne di nuovo aperte per scegliere gli otto europarlamentari della circoscrizione Isole. Sono gli immancabili scherzi dell’Autonomia, che triplica i turni elettorali anche se a votare sono chiamati soltanto 34 comuni.

A Gela  alleanza con Forza Italia – Tra questi c’è Gela, la città del petrolchimico e di Rosario Crocetta, che nel 2015 era stata conquistata dal Movimento 5 stelle. L’esperienza grillina non è stata esaltante: il sindaco Domenico Messinese è stato cacciato dal M5s sei mesi dopo l’elezione, con l’accusa di non essersi tagliato lo stipendio. Nel settembre del 2018, cioè alla prima occasione utile, il consiglio comunale lo ha sfiduciato, mandandolo a casa.  E adesso Gela rischia di essere la prima città della Sicilia amministrata dalla Lega, che – dopo una serie di faide locali tra salviniani della prima e ultima ora – ha candidato Giuseppe Spata, sostenuto anche da Fratelli d’Italia e dai centristi. Il Carroccio gelese, però, potrebbe non avere al suo fianco il simbolo di Forza Italia. Con Spata, infatti, c’è l’ex deputato berlusconiano Pino Federico, ma il coordinatore provinciale di Fi, Michele Mancuso, si è schierato con un altro uomo: l’ex alfaniano Lucio Greco. Già candidato alle amministrative del 2015, al ballottaggio Greco aveva appoggiato il grillino Messinese: a immortalare l’accordo c’era addirittura una foto che aveva attirato più di qualche problema al pentastellato. “Saremo la sesta stella”, diceva l’avvocato alfaniano. Ora di stelle a Gela sono rimaste solo quelle del consigliere comunale uscente Simone Morgana, candidato sindaco dei grillini.

Le faide dei berlusconiani, la scalata della Lega – Messinese ovviamente è fuori dai giochi: e Greco ha deciso di riprovarci. Incassando non solo l’appoggio di Forza Italia, ma anche quello del Pd: la direzione dei dem in città, infatti, ha dato carta bianca al segretario Giuseppe Di Cristina per prendere contatti con l’aspirante sindaco appoggiato dai berlusconiani. Di Cristina è vicino a Lillo Speziale, ex presidente della commissione regionale Antimafia, da sempre molto critico con i renziani e ora in prima linea per Zingaretti. Insomma: a voler accordarsi con Forza Italia nel Pd non sono i dissidenti ma i dirigenti che hanno appena vinto le primarie. Paradossalment è in una situazione peggiore Forza Italia.  “Sembra incredibile che da quel giorno, dal nostro 34%, si rinunci al simbolo di Forza Italia, per le prossime amministrative a Gela, per fare accordi con la sinistra“, scrive su facebook la deputata Giusi Bartolozzi. La domanda che in molti si pongono è una: ma perché i dem non hanno appoggiato Maurizio Melfa, candidato della sinistra? “Èstato lui a smarcarsi dal Pd con un post su facebook. In ogni caso noi andremo senza simbolo e anche la componente di Mancuso non avrà alcun simbolo: è una condizione fondamentale per noi. E comunque l’80% dei berlusconiani sta col candidato della Lega, non con noi. La nostra è un’operazione civica per salvare la città dagli uomini di Matteo Salvini. E Greco è ormai da anni nel centrosinistra”, dice il segretario cittadino.

Il caso Bagheria: zingarettiani con ex di Romano – Almeno, però, a Gela il Pd seguirà gli uomini di Forza Italia ma sostenendo un candidato che già alle regionali del 2017 aveva appoggiato Fabrizio Micari, cioè l’aspirante governatore dei dem. A Bagheria, invece, i dirigenti locali del Pd si stanno spendendo per fare eleggere sindaco un ex candidato di Saverio Romano, cioè lo storico braccio destro di Totò Cuffaro, ministro dell’Agricoltura di Silvio Berlusconi, alleato fondamentale della destra di Musumeci. Anche la città in provincia di Palermo era diventata una roccaforte grillina: il sindaco Patrizio Cinque, però, si è autosospeso nel 2017 dopo essere finito a processo per una serie di irregolarità nella gestione degli appalti dei rifiuti. Luigi Di Maio lo aveva cacciato con sei velocissime parole: “Non è un sindaco del Movimento”. Cinque, dunque, non si ricandiderà, cedendo probabilmente il posto a un’esponente della sua giunta: quale migliore occasione per il Pd per piantare di nuovo la propria bandiera su una città importante come Bagheria? E invece niente. Dopo alcuni tentativi, i dirigenti dem hanno deciso di appoggiare Filippo Tripoli, che alle regionali era candidato con i Popolari e autonomisti, la lista di Romano e Raffaele Lombardo in sostegno di Musumeci. Anche a Bagheria ha vinto la mozione Zingaretti, e a sostenerla c’era soprattutto Daniela Vella, ex candidato sindaco e ora animatore di una lista civica schierata con Tripoli. Una decisione che per Rosario Tomasello, leader dei bersaniani locali, è “incomprensibile”. “Settori del Pd bagherese – dice – stanno rinunciando alla presentazione del proprio simbolo per partecipare, anch’essi sotto mentite spoglie, a quell’accozzaglia cuffariana che niente avrebbe a che vedere con il socialismo riformista e progressista”.

A Monreale c’è il fratello del dipendente del Caf esperto di reddito – Anche Silvio Russo, leader del Pd a Monreale, presenterà una lista civica. Si chiama Obiettivo Futuro e appoggia la candidatura di Alberto Arcidiacono, uno dei due aspiranti sindaci che in città hanno il sostegno di pezzi di Forza Italia. Arcidiacono è soprattutto il candidato di Diventerà Bellissima, la lista di destra del governatore Musumeci. Silvio Russ è il fratello di Sandro Russo, consigliere comunale del Pd, ma soprattutto impiegato del Caf sorpreso dalle telecamere di La7 a distribuire consigli per aggirare i paletti del reddito di cittadinanza. Sospeso dai dem e dalla Cgil, Russo ha negato tutto: “Sono stato raggirato dal giornalista. Io ho solo raccontato tutte le falle del sistema”. Adesso potrebbe anche ricandidarsi.

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